Mezca

Mezca racconto in tre parti

Erano pochi i luoghi ad essere stati risparmiati dal mezca. Ovunque l’aria lo aveva trasportato, la gente era rimasta come intorpidita, la terra arsa, gli animali del tutto assenti.
Non si viveva male, no. Ludmila ricordava. I primi giorni era solo sembrato che si stesse preparando una grande pioggia. Il cielo si era fatto grigio e chiuso e tutti si erano affrettati a riparare la legna, visto che l’inverno non era ancora finito e l’acqua avrebbe inzuppato i ciocchi e sarebbe stato difficile, altrimenti, riscaldarsi. Dopo 48 ore, però, non una goccia era scesa dalle nuvole che intanto si erano trasformate in spesse nubi scure, ingoiando ogni traccia di luce. Era stato allora che suo padre si era zittito e, guardando negli occhi sua madre, l’aveva presa per un braccio portandola in cucina.

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Lui Lei Barcellona

Il viaggio era stato programmato, almeno nelle loro menti, da almeno due o tre anni.
Cause di forza maggiore li avevano poi costretti a rimandarlo ad un momento non meglio definito.
Ecco perché quando Lui disse: “Andiamo?”, Lei semplicemente rispose “Sì”.

Rimaneva da stabilire il quando. Questo era da concordare con chi li avrebbe ospitati, in effetti erano loro, amici che non vedevano da otto anni, il vero fulcro di questo viaggio.

Settembre sarebbe potuto essere un buon momento, innanzitutto per evitare la calura estiva (cosa che Lui evita come la peste) ed il freddo invernale. Le possibilità di scelta sul calendario non erano moltissime. Furono felicissimi quando si sentirono rispondere “Vale”, nonostante avessero traslocato da poco e ci fossero ancora molte cose da fare.

Visitare musei non era il loro obiettivo, preferivano passare il tempo ad ascoltare le esperienze vissute in quella città dai loro amici che, vivendo lì da molto tempo, avrebbero avuto di certo molte esperienze da condividere. E poi non si vedevano da parecchio, dovevano recuperare il tempo perduto.

Le olimpiadi del ’92 avevano lasciato tracce visibili per la città, così iniziarono a seguire quelle, per poi seguire le orme canine di Tarzan per il parco del Montjuic, fino a quando Tarzan iniziò a seguire loro per la Barceloneta, il Barri Gòtic, il Raval, Sant Antoni. Percorsero circa venti chilometri al giorno per le vie piene di turisti, per poi smarrirsi in scorci solitari e autentici, che nulla avevano a che fare con la dimensione del turismo usa e getta.

Dedicarono, Lui e Lei, un pomeriggio intero alla Sagrada Família: non avrebbero potuto fare altrimenti.

Usciti dalla metro, si voltano di 180°, ed eccola lì, un elemento estraneo a tutto il resto, ma così ben integrato a tutto ciò che la circonda; un’opera d’arte a 360°, che racconta qualcosa da qualsiasi punto si possa guardarla.

A cose così maestose, è necessario accostarsi con calma, poco alla volta.

Così, prima di entrare a visitare la Sagrada, si fermarono ad un bar per ritrovare un loro vecchio amico originario della città e conosciuto qualche anno prima. In quelle chiacchiere Lei scoprì che Gaudì, principale architetto ed anima della Sagrada, morì lì vicino, investito da un tram, e che rimase in ospedale senza che nessuno lo identificasse per tre giorni. Una volta riconosciuto gli furono riservati funerali in pompa magna.

La Sagrada è un immenso monumento vivente ancora incompleto. Cresce ed è in perenne costruzione da quando fu depositata la prima pietra.

Negli anni ’70, gli raccontò il loro amico, vennero innalzati palazzi per pura speculazione edilizia; questi vennero venduti a prezzo ribassato con la consapevolezza che un giorno sarebbero stati abbattuti per far spazio al proseguimento del progetto originale di Gaudì.

Una volta entrati, la sensazione fu quella di essere in una grande stanza magica; la giornata non era delle più luminose, ma la luce del tramonto che filtrava attraverso le nuvole rimbalzava sui colori chiari delle pietre scelte per colonne e pareti, dilatando il volume dello spazio circostante.

Non furono le sculture delle facciate, seppur così elaborate, ricche di storie e di significati, solenni ed umane, tra le cose che li meravigliarono di più.

L’attenzione e lo stupore di Lui e Lei furono catturati da altri elementi.

In particolare Lei osservò che, rispetto ai luoghi sacri cattolici che si era trovata a visitare fino a quel momento, la Sagrada faceva caso a sé, perché al contrario di altre chiese, cattedrali e basiliche, gli elementi iconografici non erano all’interno dell’edificio, bensì all’esterno. Una lettera di presentazione? Forse.
All’interno l’unica immagine presente era una scultura di Cristo in Croce: fuori, la Storia, dentro, la sua Essenza.

All’interno, immensi alberi scolpiti nella pietra, con rami intrecciati tra di loro. La Natura è Sacro, ed abbraccia il Sacro, abbraccia Cristo in croce. Sembrano così perfetti, e sembra davvero di essere in un bosco quasi primordiale, fossile, non intaccato da nulla se non da uno Spirito che infonde serenità.

Volete sapere dove ho trovato la mia ispirazione?
In un albero; l’albero sostiene i grossi rami, questi i rami più piccoli e i rametti sostengono le foglie.
E ogni singola parte cresce armoniosa, magnifica.
(Antoni Gaudí)

A Lei vennero quasi le lacrime agli occhi quando notò quel portone. Scolpito c’era il Padre Nostro in catalano, l’unica preghiera realmente citata dal Vangelo, una preghiera di richiesta di amore e di condivisione. Ma la cosa più commovente (sì, commovente) fu vedere, intorno a quel Padre Nostro, la frase “dacci oggi il nostro pane quotidiano” in cinquanta lingue diverse. Siamo tutti uguali, e tutti chiediamo, con uguale dignità, pane, tutti chiediamo, con uguale urgenza, di vivere.

Non tutte le torri erano completate, decisero di visitare quella della Natività. Ascensore all’andata, 400 scalini a chiocciola al ritorno. Lui e Lei videro la città dall’alto, così come fecero poi dal Montjuic, così come fecero prima dalle piscine olimpiche che furono destinate alle gare di tuffi nel ’92. Nella loro mente le varie visioni si fecero una, confluirono tutte in un’unica immagine di Barcellona dall’alto.

Lo spettacolo di luci, frutto delle vetrate colorate, cambiava di secondo in secondo, e fu bello sedersi per ammirare quella meraviglia di luci che incontra un bosco candido costruito per mano dell’uomo.

L’architettura è la prima arte plastica;
La scultura e la pittura hanno bisogno del primo.
Tutta la sua eccellenza viene dalla luce.
L’architettura è la disposizione della luce”
(Antoni Gaudí)

L’unica cosa che spinse Lui e Lei ad andare via fu l’orario di chiusura. Sarebbero rimasti volentieri lì ad ammirare l’alba del giorno dopo, ma ad attenderli nella loro nuova dimora c’erano i loro amici, moderni Filemone e Bauci e Tarzan compagno d’avventure e interminabili passeggiate.

Curiosità e cenni storici

La costruzione della Sagrada Familia continua da circa 135 anni, ed è finanziata da sole donazioni anonime in quanto tempio espiatorio.

Il progetto originale di quella che ad oggi è stata denominata come basilica minore fu affidato a Francisco de Paula del Villar nel 1882, ma l’anno seguente i lavori furono affidati ad Antoni Gaudí, che si dedicò a quest’opera, in maniera quasi ossessiva, fino al giorno della sua morte, avvenuta il 10 giugno del 1926. Ne cambiò lo stile, da neogotico a liberty, facendo diventare l’edificio uno degli esempi più importanti del modernismo catalano. Molti dettagli venivano definiti man mano che i lavori avanzavano, per questo Gaudí era sempre presente in cantiere.

Molti modelli e fotografie necessarie al progetto furono bruciate e distrutte all’inizio della guerra civile spagnola (1936), e la costruzione ricominciò non senza difficoltà grazie a Francesc de Paula Quintana.

La prima facciata ad essere stata costruita è quella della Natività, l’unica che Gaudí, vide terminata prima di morire, insieme alla torre di San Barnaba; la costruizione delle altre facciate iniziò nel 1978.

Nel 2010 Papa Benedetto XVI consacrò l’edificio a Basilica minore.

Ad oggi, la Sagrada Familia è ancora in costruzione.

Dati del 2011 attestano che è il monumento più visitato in Spagna, con 4.5 milioni di visitatori.

E’ probabile che l’opera venga terminata nel 2028, ma ciò dipende sempre dall’afflusso di donazioni; inoltre, sia la recente pandemia di Covid-19 che la guerra civile spagnola hanno contribuito al rallentamento della realizzazione dell’opera.

Al termine del progetto, la zona relativa alla Sagrada si estenderà su una superficie di 4500 m2.

Autore: Annarita Noschese
Copy editor: Francesco Pennanera
Foto: Annarita Noschese

Referendum

Il voto che cambia il mondo

Restano 8 ore e 30 minuti allo scadere del tempo.  

Poi tutto cambierà.  

Mi hanno preparato alle decisioni rapide e irrevocabili, per anni. 

Ma quando lo devi fare per la prima volta, non è mai come ti aspetti.  

La prima volta è tutto annebbiato, la saliva si prosciuga e il colore del pavimento si macchia di cenere.  

Sono pronto a tutto, ma non sono preparato per nulla. 

Un voto, secco. Si o no. Una verità o l’altra.  

Il mondo come lo conosciamo sarà cancellato per sempre. 

Tutto il dolore, tutte le sofferenze, tutta la vergogna. 

Chissà se è successo altre volte. Votare per il Reset, intendo.  

Mancano 8 ore e 15 minuti.  

Che importa, seppure lo abbiamo fatto, non ce ne accorgeremmo, o non avrebbe funzionato.  

In ogni caso sarebbe stata una novità.  

Io stesso non saprei dire se l’ho fatto prima d’ora. So solo che sono stato istruito da piccolo a usarlo. 

Mancano 7 ore e 45 minuti.  

L’idea era venuta a un gruppo di scienziati.  

I governi si dicevano esasperati dallo stato di scontentezza che pervadeva la gente dopo ogni elezione, votazione o referendum.  

I governi avrebbero fatto qualunque cosa per trovare il modo di accontentare chiunque, e lo hanno fatto, sborsando fior di quattrini.  

Il gruppo di scienziati superpagati, divenute delle vere e proprie celebrità, misero a punto la macchina del Voto-Reset. 

Il concetto è molto semplice: il risultato di un voto o di un referendum avrebbe reso reali le decisioni prese dalla maggioranza della popolazione. E lo avrebbe fatto da subito. 

Meno 7 ore e 5 minuti.

Ancora non ho deciso. 

Meno 6 ore e 12 minuti.  

Significa che i cambiamenti per cui si vota entreranno in vigore da subito e sarà come se fosse sempre stato così. 

Fine dei problemi, delle proteste e degli scontri.  

Esisterà un nuovo uno status quo.  

Fine delle dispute e della storia. 

6 ore e 10 minuti.  

Almeno fino al prossimo voto.  

L’altra conseguenza è che, non accorgendoci che qualcosa è cambiato, non ricorderemo nemmeno dei problemi che ci hanno portato al voto stesso.  

La gente andava pazza per quel gruppo di scienziati.  

Erano su tutti i social e in tutte le trasmissioni televisive. 

Ancora non ho deciso, ma mi è venuta fame.  

C’è ancora tempo. 

Meno 4 ore e 55 minuti.  

Che io voti o meno, qualcosa cambierà, io cambierò. Ma non mi renderò nemmeno conto di averlo fatto.  

E in ballo c’è roba grossa. Si vota per eliminare la povertà nel mondo. 

Ma io ho ancora dei dubbi. 

Meno 4 ore e 5 minuti.  

La quasi totalità della popolazione mondiale ha già votato senza pensarci due volte. Certo che voglio eliminare la povertà. 

Amici, parenti, conoscenti, non hanno battuto ciglio e mi hanno pure guardato un po’ storto quando gli ho detto che non sapevo ancora come votare. 

All’epoca non avevo ben chiaro cosa volesse dire, ma adesso, che mancano 3 ore e 59 minuti forse comincio a capire. 

Meno 3 ore e 31 minuti.  

L’astensione è condannata severamente.  

Cosa succede a chi si astiene? Nessuno lo sa, non l’hanno detto. Su una questione del genere, forse, nessuno si asterrà. Chissà se qualcuno si è astenuto, in passato. Lo abbiamo già fatto in passato? 

Certo, questo spiegherebbe perché consideriamo normali molte delle cose che consideriamo normali. 

Ma a cosa abbiamo rinunciato? 

Cosa abbiamo cancellato? 

Meno 3 ore in punto.  

Potrò mai ricordarmi di questi pensieri? 

2 ore e 51.  

Credo di impazzire. Non ci riesco. Più leggo la domanda del quesito e meno la capisco. 

Volete eliminare la povertà nel mondo? 

Che significa? Eliminare i poveri? I ricchi? La parola povertà?  

E se anche fosse, come chiameremmo tutte quelle persone che hanno meno cose rispetto ad altre persone, che non riescono a mangiare tutti i giorni o che non hanno una fissa dimora? 

Se voto NO, cosa potrà mai succedere? Non c’è scritto da nessuna parte. Potrebbe aumentare, per quanto ne so, potrebbe diventare legge, potrebbe essere la nuova normalità, più di quanto lo sia ora. Come si fa ad esserne sicuri? 

In fondo, anche se di una tecnologia avanzatissima, è ad una macchina che stiamo consegnando il nostro destino.  

Può una macchina considerare tutte le sfumature che tale domanda comporta? 

Manca un’ora e 25 minuti.

Certo che voglio eliminare la povertà, che domande. Sembra quasi un sogno poterlo fare così, cliccando su un pulsante colorato. 

Un’ora e 15 minuti.  

La gente scende in strada a festeggiare. 

Ma mi sembra fin troppo semplice. 

Manca un’ora.  

Sembra che abbiamo vinto i mondiali di calcio. Per strada c’è il delirio. Sono tutti sbronzi, sono tutte felici. 

Manca un’ora e non so che fare. Come se tutto dipendesse da me. Eppure la vittoria del SI dovrebbe essere schiacciante, che io voti o meno.  

Il mio voto non conta niente. 

Allora perché non ci riesco? 

Meno 45 minuti.  

L’attesa è insopportabile. Il computer è acceso e le due caselle giganti sullo schermo lampeggiano con sempre maggiore frequenza. 

Fuori dalla finestra i fuochi d’artificio.  

Una parata immensa di persone di tutti i tipi scorre lenta e cocente come un fiume di lava. 

Ci sono anche loro. I poveri. 

Mancano 20 minuti.

Mi sembra che qualcuno di loro mi stia fissando. Mi pare addirittura che mi indichino. È lui quello che non ha votato!  

Che importa, tra venti minuti non se ne ricorderanno.  

Tra venti minuti non ci saranno più. 

10 minuti. 

Cinque. 

3 minuti. Basta! 

2 minuti. Basta! Lo faccio.  

1 minuto. Oppure no? 

30 secondi. 

5 secondi. 

3. 

2. Ci vediamo dall’altra parte. 

Un secondo.

Autore: Francesco Di Concilio
Copy edting: Francesco PennaNera
Editing: Francesco PennaNera

Ricordi

L’alba con te uccellino.
La finestra dove picchiettavi.
Il risveglio con te,
l’essere soli nel tuo canto.

L’azzurro del cielo,
il sole,
La pioggia,
tutto inizia.
Le tue ali si aprivano
e volavi via
nel nulla,
verso la libertà.
Aria pura.

Cosa volevi dirmi, uccellino,
ora lo so.
Liberati e vivi.

Ciao uccellino,
dolce ricordo
di quelli che non fanno male.

Testo di Samsara
Cover design Francesco PennaNera

Il racconto dei racconti. Giorno 6 e un po’.

Apocalypse: How? (Parte 2)

Nella prima parte eravamo giunti alla questione pratica di come avveniva, nei primi secoli dell’era volgare in ambienti giudaici e protocristiani, quella che veniva ritenuta, riconosciuta o interpretata come un’esperienza di contatto diretto con l’oltremondo

Possiamo cominciare col dire che per avere un’esperienza del genere c’è senz’altro bisogno di un corpo. Sono escluse, quindi, improbabili smaterializzazioni o ascensioni fisiche nell’aldilà e relativi ritorni introdotti da un “Ho visto cose che voi umani…”. 

Per avere una visione dell’oltremondo è necessario che ci sia un corpo che agisce, di una persona reale, viva e vegeta, che abbia esperienza del contatto modificando il proprio stato emotivo. Ma in che modo è possibile alterare il proprio stato emotivo? 

Proviamo a rifletterci rispetto al nostro quotidiano.  

Psicotropia e visioni

Cosa può cambiare il corso delle nostre emozioni abbastanza da alterare la nostra chimica interiore e renderci qualcosa d’altro rispetto a quello che siamo di solito? Può benissimo riuscirci una bevanda alcolica, un medicinale o qualcosa che ingeriamo o introduciamo nel nostro corpo (cibo, fumo). In altre parole quella che chiamiamo sostanza psicotropa può alterare la nostra percezione del mondo e, di conseguenza, di noi stessi.

Ma può farlo anche qualcosa che non necessariamente deve essere ingerita, come un buon romanzo o una pièce teatrale. 

In questa stagione altamente mediatica, qualsiasi sollecitazione esterna proveniente dai dispositivi che portiamo sempre con noi può diventare psicotropa e farci divertire, arrabbiare, rilassare, piangere, o tutto questo assieme, nel giro di pochi minuti.

Possono esserlo, va da sé, anche le azioni umane. 

La minaccia di una violenza o di un pericolo da parte di una persona, di un gruppo o di un’autorità, può provocare uno stato di stress emotivo che alla lunga influenza i nostri comportamenti. Questa modalità è anche definita teletropia, ovvero una psicotropia poiché agisce per vie indirette e indesiderate. Autotropia, al contrario, è quando scegliamo liberamente di sottoporci ad un’esperienza psicotropa.

Tornando alle nostre Apocalissi, la loro origine prende il via proprio da un’esperienza psicotropa attraverso la quale il veggente o la veggente preposti assumevano una percezione di sé fuori dall’ordinario e vivevano, o meglio, credevano di vivere un’esperienza di contatto diretto con l’aldilà.  

E con aldilà intendiamo tutta una schiera di personaggi angelici, demonaici, oltre a strati e strati di cieli, fino ad arrivare all’altissimo, in qualche occasione. Un vero e proprio viaggio nell’altro mondo che permetterà il visionario di scoprire quale sarà il destino dell’universo. 

L’algoritmo visionario

Nel periodo e nella regione di cui ci stiamo occupando (la Palestina di epoca ellenistico-romana) i veggenti erano dei veri e propri professionisti in un certo senso allenati a cadere in trance a seconda delle necessità. E non è detto che lo facessero assumendo bevande fermentate o sostanze di altro tipo. 

Nella maggior parte dei casi, come testimoniano i documenti, ad innescare la visione è proprio un testo, uno scritto o un brano, magari frutto del racconto di una visione precedente che, in questo modo, ne genera un’altra e così via, a seconda dello scopo cui era destinata. 

In pratica, come abbiamo accennato riguardo l’Ascensione di Isaia, l’algoritmo di formazione di un resoconto apocalittico era più o meno questa:

  • Un profeta o un veggente aveva una visione ispirata dalla lettura di un passo particolarmente significativo per lui in quel momento;
  • la sua esperienza di contatto avveniva in presenza di un pubblico di scribi, sacerdoti o addetti al culto in generale (oltre che di fedeli comuni), pronti a mettere per iscritto quanto il profeta avrebbe raccontato alla fine della propria esperienza (che, ricordiamo, sia il profeta sia gli astanti, ritenevano realmente avvenuta);
  • dal resoconto scritto si ricavava un testo riadattato alla luce della tradizione e della cultura propria di chi scriveva o del pubblico cui era destinata.

Trattandosi del giudaismo tardo antico e del protocristianesimo, la fonte principale cui attingevano sia i visionari che gli interpreti delle visioni erano anche e soprattutto i testi che saranno poi conosciuti come biblici

Per questo in molte apocalissi troviamo rievocazioni di fatti, immagini e personaggi già presenti nella Bibbia ebraica. A esempio esiste un apocalissi nota come Libro di Enoc, in cui il patriarca anti-diluviano che compare nella Genesi è protagonista di visioni, sogni e predizioni. E non è il solo a venire ri-chiamato in causa.

Scrittori di Apocalissi e loro motivazioni

Ciascun episodio, profondamente interiorizzato da chi ne conservava memoria, veniva di volta in volta reinterpretato per risultare idoneo ai tempi che correvano, anche centinaia di anni dopo lo scritto di origine, e per rispondere a determinate necessità.  

Ne abbiamo parlato più volte delle necessità di produrre nuovi testi apocalittici, ma cosa vuol dire esattamente?

Perché le apocalissi venivano prodotte?   

Tutto quel rimandare, citare e riformulare di solito produceva un collage di pezzi di varie tradizioni ed epoche che si mescolavano ai racconti orali, ancora importanti a quei tempi, fino a diventare testi scritturalizzati, cioè considerati definitivi, normativi e patrimonio culturale di una determinata società o gruppo religioso.

Spesso il processo si accompagnava a dinamiche di opposizione o polemica con altri gruppi, i quali a loro volta, se non sostenevano proprio l’opposto, quanto meno affermavano la stessa verità in modo diverso

Pieter Bruegel the Elder – The Fall of the Rebel Angels

Apocalissi e potere

Dunque, riepilogando, chi metteva per iscritto i resoconti visionari era spesso legato a un determinato gruppo religioso-culturale che si andava affermando in quell’arcipelago fluido e discontinuo che era il giudaismo dopo la distruzione del Tempio da parte dei Babilonesi prima (586 a.C.) e dei Romani poi (70 d.C.), tra cui rientreranno anche i primi seguaci di Gesù, prima di attribuirsi un’identità autonoma. 

Già alcuni scritti rientrati nel canone biblico odierno testimoniano di testi prodotti in risposta a un determinato contesto storico.

Il libro di Daniele, ad esempio, si ritiene sia stato messo per iscritto all’epoca della rivolta maccabaica, in seguito alla morte del persecutore Antioco IV Epifane, quindi intorno al 165 a.C. Il testo contiene delle visioni degli ultimi giorni del mondo in cui finalmente il bene (il popolo ebraico oppresso) trionferà sul male (i popoli conquistatori, in questo caso i Seleucidi). 

Ritroviamo, per questo motivo, un significato politico e identitario oltre che culturale nella redazione degli scritti apocalittici, in reazione a forti traumi subiti da una determinata comunità. 

A volte si tratta di un vero e proprio shock che porta al vaticinio e alla produzione di scritti che annunciano l’ora della salvezza e i primi seguaci di Gesù furono molto prolifici sotto questo aspetto.

Già dopo meno di un secolo dalla crocifissione improvvisa del loro leader, circolavano diversi resoconti sulla storia della sua vita e dei suoi seguaci più prossimi. Si moltiplicarono, inoltre, anche gli scritti che vedevano Gesù come protagonista (dichiarato o celato sotto l’aspetto di esseri oltremondani o profetici) di racconti escatologici, che riguardano la fine dei tempi e la salvezza o la dannazione dei popoli, a seconda del proprio schieramento.

Poiché non esistevano solo gli oppressori, Babilonesi, Persiani, Greci o Romani che fossero, nel mondo giudaico e protocristiano. C’erano anche diverse correnti e comunità, non necessariamente d’accordo tra loro, e ciascuna cercava di attribuirsi una superiore autorevolezza rispetto alle altre traendo legittimità proprio dalle scritture, in un mondo in cui la scrittura era un’arte quasi sacra, appannaggio di pochi e depositaria della verità e della legge. 

Quasi come oggi, ma con meno attenzione alle fonti, se non quella che ciascun gruppo attribuiva alle proprie tradizioni. 

Raccogliere i pezzi

Con questo spirito, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, un gruppo di sacerdoti ebrei di scuola rabbinica ha deciso di incontrarsi a Jabne (o Iamnia), sulle coste Palestinesi, per cercare di ricompattare una comunità sconvolta dall’invasione, dalle guerre e dalle numerose rivolte.

In quell’ambito, in un processo che probabilmente è durato parecchi decenni, è stato stabilito in modo definitivo il testo del Tanakh, ovvero il canone della Bibbia Ebraica, o l’Antico Testamento di quella cristiana. 

Allo stesso modo, nelle diverse regioni del bacino del Mediterraneo in cui si diffuse il cristianesimo dei primi anni, troviamo composizioni diverse dei libri sacri e spesso delle differenze sostanziali all’interno degli stessi scritti. Pensiamo ad esempio, che parte del Libro di Enoc (noto come 1Enoc) fa parte del Nuovo Testamento in lingua copta (Egitto) e non di quello cattolico, o che il Libro dei Giubilei è presente nel canone etiopico e non in quello latino. 

Detto molto (forse troppo) semplicemente: ogni gruppo ha reso sacri i libri di cui aveva bisogno. Allo stesso modo accreditava questo o quello scritto apocalittico piuttosto di altri per legittimare la propria vicinanza a un potere costituito o in via di costituzione, oppure per affermare la propria viva opposizione e la creazione di un potere ribelle o alternativo.

In breve i testi contribuivano a dare identità ai gruppi.

Social Media Clairvoyant

Ma, al di là dei giochi di potere, il quadro sintetico dei temi trattati nel libro di Luca Arcari che ci ha accompagnato in questa stesura, ci porta a una considerazione dello studioso riguardo i testi apocalittici: questi sono dei veri e propri mezzi di comunicazione in cui, attraverso il contatto con il divino, si vuole far arrivare un messaggio a dei fruitori

Ai tempi della loro produzione, erano un medium che funzionava proprio per la loro promessa di un mondo migliore che sarebbe sicuramente arrivato, come confermato da segni celesti e dalle stesse visioni profetiche.

A parte crederci, spesso i fruitori non erano tenuti a fare altro. L’attesa escatologica determinata dalle azioni celesti disinnescava il potenziale “rivoluzionario”, diremmo noi, del disagio esistenziale

Anche oggi spesso si riesce difficilmente ad accettare la realtà per quella che è e si vorrebbe trovare il modo di cambiarla, trasformandola, come sosteneva Hobsbawm, attraverso una sostituzione del potere. Quello che facevano i resoconti apocalittici, o qualsiasi prospettiva escatologica, era rimandare il momento del riscatto e trasformare l’agitazione in attesa.

Eppure, restando in ambito letterario, più che apocalissi, quelle moderne sono delle Distopie, in cui il peggio che poteva accadere è accaduto e ora si tratta di ricostruire come meglio si può. 

Una prospettiva disillusa e pessimistica, forse, basata su un pessimismo che riflette la coscienza acquisita di un potenziale enormemente distruttivo che ha l’essere umano sul mondo e su sé stesso. Oppure fin troppo ottimistica, quando la mera speranza di uscire da una brutta situazione ci fa presagire che Andrà tutto bene

Il difficile è rimanere lucidi, non farsi influenzare troppo dalle sostanze psicotrope che erompono da qualsiasi parte, e saper distinguere tra quello che è un bel racconto per farci stare meglio e la nostra effettiva capacità di determinare la nostra esistenza e quella di chi ci circonda

Il bene che vince sul male è ormai solo un racconto interessante per capire meglio come siamo e come lo siamo diventati.

Per il resto forse abbiamo bisogno di nuove rivelazioni, che riguardano da vicino ognun* di noi.

Testo e copertina:
Francesco Di Concilio

Bibliografia

  • Luca Arcari, Vedere Dio. Le apocalissi giudaiche e protocristiane (IV sec. a.C. – II sec. d.C.)
  • Paolo Sacchi (a cura di), Apocrifi dell’Antico Testamento, Torino, UTET, 1981-2000 (5 volumi).
  • Mario Erbetta, Gli apocrifi del Nuovo Testamento, Torino, Marietti 1966-1981 (3 volumi).
  • Luigi Moraldi, Apocrifi del Nuovo Testamento, Torino, UTET 1994 (3 volumi).
  • Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, Torino, UTET, 2018.