#13.5 Note a Margine – Non al denaro non all’amore né al cielo

Se ti sei perso la quarta parte ecco dove puoi trovarla #13.4 Note a Margine – Il ciclo dell’invidia


DISCLAIMER

L’intera produzione di Fabrizio De André pone un forte accento sul testo e sulla scelta oculata delle parole da utilizzare. Un ascolto superficiale sarebbe inutile e totalmente non produttivo. I nostri sono solo degli spunti di riflessione sulle tematiche proposte in ogni brano. Vi invitiamo a fare vostro ogni brano, ascoltandolo più e più volte, cercando di immedesimarvi in ogni personaggio, al fine di provare i suoi stessi sentimenti e sensazioni. Siamo convinti, infatti, che solo in questo modo è possibile comprendere a pieno l’opera di questo immenso Artista.

Il ciclo della scienza

L’album Non al denaro non all’amore né al cielo fu pubblicato nel 1971 per l’etichetta Produttori Associati; gli arrangiamenti furono firmati da Nicola Piovani, e molti dei musicisti che parteciparono alla registrazione dell’album facevano parte dell’orchestra di Ennio Morricone.

All’interno di questo lavoro, composto da 8 brani introdotti da La collina, è possibile rintracciare due macrogruppi tematici: infatti, i primi quattro sono incentrati sulla tematica dell’invidia, mentre le restanti quattro hanno come fil rouge la scienza.

Oggi vi presentiamo il secondo macrogruppo, di cui fanno parte Un medico, Un chimico, Un ottico, Il suonatore Jones.

Un medico

Un medico, primo brano del ciclo dedicato alla scienza, si dedica con passione a questa professione, con una sincera vocazione, ma diventa un po’ imbroglione per poter sopravvivere.

La critica, neppure tanto velata, è rivolta a tutti quei professionisti che hanno scelto un lavoro non per chiamata, ma per il prestigio e la fama che ne deriva, nonché per il guadagno.

Il cambiamento del dottore viene marcato, a livello di testo, dalla contrapposizione dei fiori rosa del ciliegio con i fiori di neve; la sua parabola di vita del medico è totalmente opposta a quella del giudice.[1]

Lo scontro tra mondo ideale e reale è sottolineato dall’alternanza tra tonalità maggiore e minore.

La gioiosa melodia di un vecchio piano scordato fa da preludio ad una verità triste e malinconica: gli ideali si scontrano sempre con la realtà, e ne escono sempre sconfitti.

Chi insegue gli ideali sarà sempre sconfitto, e purtroppo, per vivere, per mangiare, bisogna decidere da che parte stare, se da quello degli sconfitti o meno, ovvero se stare dalla parte di chi è coerente con i propri ideali o di chi è deciso a passarci sopra, letteralmente a venderli per avere un po’ di fama e di successo.

Un chimico

Nella versione originale si fa riferimento ad un druggist, ovvero ad un farmacista; la scelta di questo piccolo cambiamento serve anche per sottolineare la capacità del protagonista di far reagire dei singoli elementi.

La chimica è una metafora della sociologia e dei rapporti umani, sia che siano essi di amicizia o di amore. Infatti, seppur questo brano faccia parte del cerchio dedicato alla scienza, quest’ultima è un pretesto per fare un parallelismo con l’uomo e le sue relazioni sociali: le interazioni tra gli atomi, elementi e molecole possono essere descritte con leggi ben definite, mentre ciò non vale per i rapporti umani, che siano amorosi o meno, per i quali l’uomo non si affida alla razionalità, bensì al caso.

Tuttavia, all’interno del chimico, vivono due anime, una razionale, votata alla scienza, mentre l’altra anela allo spiegamento dei propri desideri.[2]

Solo alcuni elementi, così come solo alcune persone, sono destinati a stare insieme, ad avere dei rapporti stabili e duraturi. Altri invece, passano parte del proprio tempo insieme per poi magari non rivedersi mai più.

Conoscere, però, le leggi della scienza non è garanzia di piena comprensione degli uomini: le leggi umane, infatti, sono irrazionali, seguono il cuore e non la ragione.

Un ottico

Dippold the optician, grazie alla sua professione, proprio come uno spacciatore, dona ai propri clienti la possibilità di vedere una realtà che può cambiare di volta in volta, a seconda delle lenti che si indossano. Proprio come il medico, anche l’ottico tradisce la propria vocazione iniziale per poter fornire agli altri la possibilità di piegare la realtà al proprio volere.[3]

Il brano inizia con una musica quasi bandistica.

La tuba regge tutta la melodia, portandoci in un mondo che quasi assomiglia ad una grande festa di piazza di un piccolo paese negli anni ’60: è possibile vedere i tavoli, le luci, le lanterne, i sorrisi, la gioia… E’ proprio questa la realtà che gli occhiali dell’ottico permettono di vedere, tralasciando, forse anche per un momento, la tristezza, la pochezza, le regolarità di alcune situazioni quotidiane? Che gli occhiali siano forse un mezzo per sfuggire alla realtà?

Il brano è diviso in quattro parti; la seconda viene introdotta da fiati che incalzano il ritmo, mentre la voce di De André recita dei versi in maniera monotòna, e la sua voce si ripete in un eco quasi infinito: il tutto risulta creare un’atmosfera quasi psichedelica, ai limiti del rock progressivo.

La terza parte viene introdotta da un assolo di chitarra, e fa da ponte all’ultima sezione che è uguale a quella iniziale.

L’ottico vende la realtà desiderata a chiunque la chieda: il mondo può essere come tu lo desideri se solo ti vengono offerti degli occhiali giusti. Questi possono permetterci sia di vedere il mondo come noi lo vorremmo, ma allo stesso tempo possono farci acquisire coscienza sul mondo che ci circonda, donandoci la capacità di osservarlo per quello che è.

Gli occhiali sono il punto d’unione tra quello che c’è nella nostra mente e la realtà che ci circonda: ne abbiamo bisogno ogni qualvolta le due cose non coincidono.

Il suonatore Jones

Nell’Antologia si fa riferimento ad un violinista, che per ragioni di metrica viene trasformato da De André in un suonatore.

E’ il personaggio più importante dell’album, non solo perché chiude questo lavoro, ma perché racconta una persona libera ed estranea alla società ed agli schemi della borghesia, ma che allo stesso tempo non si sottrae agli altri, portando gli interessi della comunità al di sopra di quelli personali.

Per il contesto sociale del periodo in cui l’album è stato pubblicato, il suonatore Jones rappresenta l’opposto della società di quel tempo. E’ il personaggio sul quale De André investe tutto, prendendo in prestito da questa canzone un verso che da il nome a tutto l’album: “…non al denaro, non all’amore, né al cielo…”[4]

L’introduzione, che ricorda la musica di Morricone, come già successo in più punti dell’album, lascia spazio ad un accompagnamento di chitarra, creando un atmosfera piuttosto malinconica, alla quale contribuiscono anche l’introduzione dei flauti.

Due attività sono in contrapposizione tra di loro: il coltivare i campi ed il suonare.

A differenza della poesia di E. L. Masters, qui il suonatore sceglie liberamente di abbandonare i campi per dedicarsi alla musica. Tre sono le parole chiave di questo brano: dormire, svegliarsi e libertà. Il dormire è associato ai campi, lo svegliarsi al suonare, e la libertà è legata ad entrambe, perché i campi riescono ad assopire la libertà di scelta, mentre il suonare è conseguenza della stessa libertà di scelta.

Il suonatore Jones sceglie liberamente di suonare per suo piacere e per quello degli altri, e di non essere schiavo di un’attività remunerativa e del denaro che ne consegue, rinunciando così al benessere e alla ricchezza.

Il suonatore Jones rappresenta pertanto l’opposizione al modello di vita borghese, centrato sulla propria realizzazione personale attraverso il lavoro, perché sceglie la felicità per mezzo della libertà, e questo è un percorso che è svincolato dall’individuo, ma coinvolge ed abbraccia la società intera. Non a caso il titolo dell’album è “Non al denaro, non all’amore né al cielo”.

Il suonatore Jones è risolutivo ed in contrapposizione agli altri personaggi dell’intero album, perché non è schiavo di nessuna professione, vizio o virtù, e ci suggerisce che il cambiamento dell’uomo non deve avvenire a partire dalla collettività ma dalle scelte del singolo individuo.[5]


[2] [3] [4] [5] M. Mugnai, California Italian Studies, 6(2), 2016.

Autrice: Annarita N.
Cover design: Ivo Guderzo

#13.4 Note a Margine – Non al denaro non all’amore né al cielo

Se ti sei perso la seconda parte ecco dove puoi trovarla #13.3 Note a Margine – Introduzione all’album.


DISCLAIMER

L’intera produzione di Fabrizio De André pone un forte accento sul testo e sulla scelta oculata delle parole da utilizzare. Un ascolto superficiale sarebbe inutile e totalmente non produttivo. I nostri sono solo degli spunti di riflessione sulle tematiche proposte in ogni brano. Vi invitiamo a fare vostro ogni brano, ascoltandolo più e più volte, cercando di immedesimarvi in ogni personaggio, al fine di provare i suoi stessi sentimenti e sensazioni. Siamo convinti, infatti, che solo in questo modo è possibile comprendere a pieno l’opera di questo immenso Artista.

Il ciclo dell’invidia

L’album Non al denaro non all’amore né al cielo fu pubblicato nel 1971 per l’etichetta Produttori Associati; gli arrangiamenti furono firmati da Nicola Piovani, e molti dei musicisti che parteciparono alla registrazione dell’album facevano parte dell’orchestra di Ennio Morricone.

All’interno di questo lavoro, composto da 8 brani introdotti da La collina, è possibile rintracciare due macrogruppi tematici: infatti, i primi quattro sono incentrati sulla tematica dell’invidia, mentre le restanti quattro hanno come fil rouge la scienza.

Oggi vi presentiamo il primo macrogruppo, di cui fanno parte La collina, Un matto, Un giudice, Un blasfemo, Un malato di cuore.

La collina

La collina” oltre ad essere il primo brano dell’album Non al denaro non all’amore né al cielo è anche la prima poesia dell’Antologia, e non si discosta molto dal testo originale di E. L. Masters.

La canzone ci conduce per mano lungo i viali del cimitero, ci dona curiosità verso quei morti, ma soprattutto ci dà la possibilità di guardare a quegli stessi morti con pietas cristiana, trasformandoci, forse, in persone colpevoli di essere ancora in vita e di non aver dato, con i nostri gesti e parole, riscatto a quelle persone morte sul lavoro, in guerra, per aborto.[1]

La forza del brano, come ogni testo di De André, è quello di saper raccontare con poche parole, scelte accuratamente e non a caso, la storia di ogni morto: si parla allora di morti sul lavoro (Ermen, Charlie), delle condizioni delle prigioni (Tom), di violenza sulle donne (Ket, Maggie), di aborti clandestini (Ella), di morti per tumore (Edith), di emigranti morti lontano da casa (Lizzie).

Ma i versi più forti De Andrè li riserva per condannare la guerra ed i suoi innumerevoli ed ingiustificati morti, e sembra quasi di sentire il pianto straziante e disperato di chi sa bene che un proprio caro dorme sulla collina, con un corpo dilaniato ed insieme ad una bandiera che, di fronte alla morte, non ha più nessun significato né ruolo, se non quello di cercare di tenere insieme, in un tentativo disperato che possa discolpare i generali, dei brandelli di carne:

Dove sono i generali
Che si fregiarono nelle battaglie
Con cimiteri di croci sul petto?
Dove i figli della guerra,
Partiti per un ideale,
Per una truffa, per un amore finito male?
Hanno rimandato a casa
Le loro spoglie nelle bandiere
Legate strette, perché sembrassero intere.

Per tutto il brano si parla di morti premature; l’unico personaggio che invece sembra morire di vecchiaia è Jones il suonatore, a cui fanno riferimento gli ultimi versi de La collina e con cui si chiude tutto l’album. Fanno riferimento al suo distacco da alcuni sentimenti terreni i versi che danno il titolo all’intero album:

Lui che offrì la faccia al vento,
La gola al vino, e mai un pensiero
Non al denaro, non all’amore né al cielo.

Il brano si chiude richiamando le note iniziali del brano, che sembrano uscire da un film con GianMaria Volontè e musicato da Ennio Morricone.

Tutti, su quella collina, diventano uguali, ed il verso principale “…dormono, dormono, sulla collina…” richiama immediatamente la poesia di Totò “’A Livella”, dove un ricco si lamenta di essere stato seppellito accanto ad un povero pezzente, ma alla fine quest’ultimo gli dice che, di fronte alla morte, tutti diventano uguali, e che quindi “…‘A morte ‘o ssaje ched’e”…. è una livella.

Un matto

Il nome di quello che De André chiama semplicemente Un matto è Frank Drummer.

Dal punto di vista musicale, la tonalità maggiore del brano e la sua aria allegra rispecchia il carattere e la spensieratezza tipiche dello scemo del villaggio.

Forse non si tratta nemmeno di un matto, ma di una persona che, forse impacciata, forse ignorante, non riesce a trovare le parole per comunicare, per esprimere tutto quello che vorrebbe dire.

Potrebbe essere una situazione simile a quella che provano tutte le persone che si trovano a vivere non nel posto dove sono nati, e dove magari si parla una lingua diversa da quella con la quale loro avevano pronunciato le loro prime parole.

Questa incapacità di esprimersi viene allora derisa da tutti.

Ritrovatosi isolato ed emarginato, un matto cerca di farsi notare ed emergere imparando l’enciclopedia a memoria. Deriso da tutti anche dopo la sua scomparsa, muore in manicomio, da solo, ma è proprio attraverso la morte che il matto riesce ad essere libero, acquisendo la libertà di dire ciò che vuole, con le parole che vuole, senza temere più il giudizio altrui. [2]

La morte ha dato libertà ad una persona che si sentiva imprigionata, sola, emarginata, e che da morta può inventare parole e dare voce e colore al proprio mondo interiore.

Un giudice

De Andrè descrive Selah Lively come Un giudice rancoroso e vendicativo.

La vendetta per gli scherni subiti per i propri difetti fisici è al centro di questo brano.

Il ritmo incalzante esprime in pieno il senso di frustrazione di questo personaggio.

La sua vendetta verso chi si burlava di lui per la sua bassa statura si esplica dapprima con un riscatto sociale, dato che attraverso lo studio un giudice riesce ad acquisire una posizione sociale di rispetto; successivamente quella stessa posizione di rispetto si trasforma in arma di vendetta perché conferisce la possibilità di disporre, secondo la propria voglia e la propria coscienza, della vita degli altri.

Non si parla di un giudice imparziale, ma di una persona che abusa del proprio potere per fini personali.[3]

Alla fine ad essere oggetto di scherno non è l’aspetto fisico, ma la posizione sociale: chi si prende gioco degli altri lo fa solo perché chi viene deriso è più in basso nella scala sociale, ma quando le cose si invertono, cade il silenzio e lo scherno sparisce.

Un blasfemo

Wendell P. Bloyd è il protagonista di questa canzone.

La religione e l’ateismo sono al centro del brano, che racconta di un uomo arrestato non per qualche crimine commesso e ben definito dalla legge, ma in quanto blasfemo, con un credo che è diverso da quello degli altri.

Nel testo rimane la descrizione originale del risentimento di Dio verso Adamo, che passa attraverso la Vicenda narrata nel libro della Genesi della “mela proibita”, simbolo di tutto ciò che l’uomo non doveva conoscere, secondo il suo creatore. La punizione per l’uomo per aver peccato di presunzione è quella di vivere sulla terra, lontano dal “giardino incantato” dell’Eden, in un mondo privo di illusioni e pieno di contraddizioni generati dallo scontro tra bene e male. [4]

Quando l’uomo ha osato metter in dubbio l’autorità divina, Dio ha usato il suo potere s per fermare la possibile ascesa dell’uomo stesso, per paura che egli potesse equipararsi a Lui stesso. L’ha fermato giocando non ad armi pari, perché si sa che il tempo e le stagioni non sono un’invenzione umana.

La musica del brano è allo stesso tempo bucolica (uso degli strumenti a fiato), raffinata, quasi religiosa (uso dei violini); in particolare, l’uso degli strumenti ad arco ha lo scopo di suscitare in noi sentimenti di compassione e vicinanza al blasfemo. Il brano lascia libero spazio alla musica proprio dopo lo scontro tra uomo e dio, ed offre a chi ascolta un’occasione di riflessione.

Mi cercarono l’anima a forza di botte” esprime in maniera perfetta la perfidia, la cattiveria e la violenza che possono essere scatenare da chi professa di adempiere al rispetto dell’ordine pubblico.  

L’anima è qualcosa di immateriale e materiale allo stesso tempo: non la vediamo, non possiamo toccarla né sentirla, ma sappiamo che c’è, e che raccoglie la nostra parte più intima, nascosta dal nostro corpo e da esso protetta. “Cercare l’anima a forza di botte” significa allora commettere un atto di una violenza inaudita, significa privare l’anima di un individuo della sua ultima protezione; allo stesso tempo, però, sappiamo che l’anima non è un oggetto, quindi non può essere cercato, perciò tutta la violenza esercitata sul blasfemo è doppiamente ingiustificata.

Chi alza la voce, chi canta fuori dal coro, chi osa mettere in dubbio l’autorità viene punito per aver avuto coraggio: è questo il vero crimine commesso dal blasfemo.

Un malato di cuore

Cominciai anche io a sognare insieme a loro, poi l’anima d’improvviso prese il volo.
E L’anima d’improvviso prese il volo, ma non mi sento di sognare con loro.
No, non mi riesce di sognare con loro.

Questo brano chiude il primo gruppo di brani dell’album, opponendosi ai primi tre perché non è un brano negativo e pieno di tensioni.

Il malato di cuore, nonostante la sua condizione lo privi di tante esperienze e possibilità, non ha invidia per gli altri, sfida sé stesso andando oltre le proprie possibilità.

Un malato di cuore può essere interpretato con una chiave di lettura aggiuntiva: chiunque non ha il coraggio di buttarsi nella mischia, di rischiare, di vivere la vita e l’amore a pieno è un malato di cuore, perché frena i propri desideri per semplice paura.

Si tratta di un chiaro invito per l’ascoltatore ad osare, a cercare la felicità tramite il rischio, piuttosto che affidare la propria vita alla razionalità.[5]

Anche la musica invita alla vita, ci suggerisce di aprirci al mondo: a questo scopo vengono introdotti dei vocalizzi di morriconiana memoria.


[1][2][3][4][5] M. Mugnai, California Italian Studies, 6(2), 2016.

Autrice: Annarita N.
Cover design: Ivo Guderzo

#13.3 Note a Margine – Non al denaro non all’amore né al cielo

Se ti sei perso la seconda parte ecco dove puoi trovarla #13.2 Note a Margine – Fabrizio De André e la sua opera


L’album Non al denaro non all’amore né al cielo fu pubblicato nel 1971 per l’etichetta Produttori Associati; gli arrangiamenti furono firmati da Nicola Piovani, e molti dei musicisti che parteciparono alla registrazione dell’album facevano parte dell’orchestra di Ennio Morricone.

Questo lavoro di De André contiene al suo interno molti elementi della chanson francese, ovvero storie “piccole”, chitarra al centro della musica, voce profonda che più che cantare, racconta cantando. Ciò rispecchia il processo creativo che ha portato il cantautore genovese a comporre le sue canzoni, ovvero da un testo, da una storia, nasce la musica, quindi la canzone. Questo conferma che la storia cantata e la parola sono al centro di tutto. Ogni parola viene quindi ricercata attentamente, in questo caso per permettere ai morti di raccontare con dignità la loro storia; ogni strofa non è lasciata al caso, ma progettata con attenzione e cura.[1]

Il processo che ha dato vita alla stesura dell’album parte da lontano, cioè da epitaffi scritti su tombe di marmo, che vengono trasformate prima in poesia, poi tradotte in italiano, ed infine musicate, anche se questo termine minimizza il lavoro fatto da De André sia a livello di parola che di musica. Si tratta di un percorso che si stringe e poi si amplia ancora: in primis perché E. L. Masters condensa intere vite vissute in poche parole o frasi, e poi l’ampliamento è ottenuto con l’aggiunta di una terza dimensione, quella musicale.[2]

A livello sonoro, uno dei riferimenti di quest’album può essere rintracciato sicuramente nell’opera di Bob Dylan, ovvero nella folk music, dove si descrivono in maniera concreta la vita e la morte di quelle persone la cui vita e morte è nascosta dietro una lastra di marmo.[3]

La forza e l’universalità del lavoro di E. L. Masters prima e di De Andrè dopo, sta nella descrizione di personaggi universali e senza tempo, e che per questa ragione ben si adattano a raccontare le crescenti contraddizioni nella società italiana del boom economico che seguì la Seconda Guerra Mondiale; infatti, l’album di De André fu pubblicato nel 1971, ed il contesto sociale era quello di lotte operaie che si contrapponevano ad una borghesizzazione generale della società, di lotte studentesche e della mancata risoluzione dei problemi da loro sollevati, di crescite demografiche ed industriali che facevano nascere ed emergere nuovi disequilibri sociali, con un accentuarsi della dimensione individualistica della società industrializzata e capitalista.

E’ chiaro, quindi, un intento di denuncia; tuttavia, De André non si schierò mai apertamente per una parte o per l’altra, ma è possibile comprendere il suo pensiero espresso in maniera chiara nella sua opera: il ridare dignità agli ultimi attraverso la narrazione della loro storia.

Delle iniziali 244 poesie, De Andrè fu costretto per forza di cose a farne una rigidissima selezione. Il brano che apre l’album è “La collina”, e funge da introduzione al luogo ed al mondo dei defunti ai quali verrà data voce nelle successive otto canzoni. E’ possibile rintracciare due macrogruppi tematici all’interno di questi otto brani: infatti, i primi quattro sono incentrati sulla tematica dell’invidia, mentre le restanti quattro hanno come fil rouge la scienza. Come una vera e propria matrioska, all’interno di questi macrogruppi è possibile fare un ulteriore raggruppamento: infatti, dopo 3 personaggi negativi ne viene presentato uno positivo, perché ogni personaggio positivo redime gli altri.[4]

Ogni personaggio racconta da sé la propria storia, richiamando alla memoria i personaggi della Divina Commedia di Dante.[5]

Al contrario dell’opera di E. L. Masters, in quella di De André ogni personaggio non viene presentato con il proprio nome e cognome, ma con la propria professione preceduta da un articolo indeterminativo: un espediente narrativo che serve ad avvicinare all’ascoltatore alla storia, che viene così svincolata dall’individualità del singolo personaggio, rendendola universale ed eterna.

Per tutto l’album, l’ascoltatore viene velatamente invitato a scrollarsi di dosso ogni regola, ogni sovrastruttura mentale, ogni schema, ogni possibilità di pregiudizio, per essere liberi di vedere le cose per quello che sono.

Per tutto l’album, si possono chiaramente ascoltare echi di Ennio Morricone, si può chiaramente ascoltare una colonna sonora di un bellissimo spettacolo teatrale dove ogni morto parla di sé stesso chiedendo soltanto dignità.


[1] F. Ivaldi, ATEM, 1, 2019. https://atem-journal.com/ojs2/index.php/ATeM/article/view/2019_1.05

[2] M. Leone, The Diaphanous Translation: Fabrizio De André sings Edgar Lee Masters, 2019 (https://iris.unito.it/handle/2318/1725870?mode=full.2376#.X98rRhZ7lPY)

[3] M. Leone, The Diaphanous Translation: Fabrizio De André sings Edgar Lee Masters, 2019 (https://iris.unito.it/handle/2318/1725870?mode=full.2376#.X98rRhZ7lPY)

[4] M. Mugnai, California Italian Studies, 6(2), 2016.

[5] M. Mugnai, California Italian Studies, 6(2), 2016.

Autrice: Annarita N.
Cover design: Ivo Guderzo

#13.2 Note a Margine – Non al denaro non all’amore né al cielo

Se ti sei perso la prima parte ecco dove puoi trovarla #13.1 Note a Margine – Masters e la letteratura Americana in Italia

Fabrizio De André e la sua opera: una breve (brevissima) introduzione

L’album di Fabrizio De André, collegato all’Antologia di Masters, è Non al denaro, non  all’amore, né al cielo, e rappresenta, rispetto all’opera del poeta americano, una trasposizione e non un’adattamento.[1]

De André è stato uno degli autori più contestati del panorama culturale per tematiche scelte; ad esempio, il suo brano “Si chiamava Gesù” venne censurato dalla RAI. Proprio per la sua poetica, per i personaggi che descrive, per i luoghi dove si svolgono le vicende da lui cantate o declamate, è stato paragonato da molti a Pier Paolo Pasolini.[2]

La vicinanza più evidente tra Pasolini e De André sta nei luoghi in cui cercare il riscatto: i bassifondi di quelle città non contaminate dal falso perbenismo borghese e dalla civiltà dei consumi

(Paolo Talanca, Il Fatto Quotidiano, 2 novembre 2015)

Curt Sachs, etnomusicologo tedesco, ha affermato che le canzoni di De André non sono patogeniche, nate cioè, dall’emozione, ma piuttosto logogeniche. Da tutta l’opera di De André emerge chiaramente la consapevolezza dell’uso della parola, scelta con cura per aderire completamente alle finalità espressive.

Tutto ciò si pone in forte contrasto con la struttura e la melodia della tipica canzone italiana nata e diffusasi al termine degli anni 50, e caratterizzata da una certa patogenicità piuttosto che dalla logogenicità.[3]

Le canzoni di De André scuotono le coscienze (o almeno dovrebbero) e conducono ad una riflessione generale sull’isolamento di alcuni personaggi che vivono ai margini della società.[4]

“(…il presepio sociale dipinto nell’opera di De Andrè descrive un mondo…) laico e disincantato, abitato da prostitute, da suicidi, da ladri e da tutti coloro i quali, per costrizione o vocazione, si trovavano a vivere ai margini del quieto modus vivendi dei pensanti. Un mondo di vittime, “colpevoli” per lo sguardo scandalizzato della borghesia […] che non può essere riscattato né dalla Chiesa né dallo Stato, ma solo dal romanticismo degli eretici, appunto: i soli che sanno riconoscere storia e dignità.”

(Bigoni e Giuffrida (a cura di), Fabrizio De André, 24.)

[1] M. Leone, The Diaphanous Translation: Fabrizio De André sings Edgar Lee Masters, 2019 (https://iris.unito.it/handle/2318/1725870?mode=full.2376#.X98rRhZ7lPY)

[2] M. Mugnai, California Italian Studies, 6(2), 2016.

[3] F. Ivaldi, ATEM, 1, 2019. https://atem-journal.com/ojs2/index.php/ATeM/article/view/2019_1.05

[4] M. Mugnai, California Italian Studies, 6(2), 2016.

Autrice: Annarita N.
Cover design: Ivo Guderzo

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#13.1 Note a Margine – Non al denaro non all’amore né al cielo

Masters e la letteratura Americana nel dopoguerra italiano

Se oggi conosciamo l’Antologia di Spoon River lo dobbiamo essenzialmente all’opera di traduzione di Fernanda Pivano, lavoro culminato nella pubblicazione dell’antologia in versione italiana il 9 marzo 1943 per la casa editrice Einaudi.[1] Grazie poi al successivo lavoro di De André, il libro ha avuto 72 edizioni, con 5 milioni di copie vendute (dati del 2009); in occasione del centenario dalla sua prima pubblicazione celebratosi nel 2015, la Mondadori e la Feltrinelli hanno immesso sul mercato due edizioni nuove, con note, commenti e traduzioni mai pubblicate.[2]

Questa raccolta di poesie, pubblicata per la prima volta come testo unico nel 1915, vide in realtà la prima luce tra il 1914 e l’anno successivo sul giornale Mirror. Ogni poesia, costruita su versi liberi, rappresenta la storia di un personaggio, anzi, di una persona seppellita nel cimitero di Spoon River. Nella sua ultima versione pubblicata nel 1916 l’Antologia conteneva 244 componimenti, che in realtà sono dei veri e propri epigrafi. Il primo componimento, La collina, fa da introduzione all’ambiente del cimitero e da anticamera alle storie declamate successivamente. In quest’opera, E. L. Masters riesce a fare riferimento a molte categorie umane, lavorative e non, dando vita ad un mosaico della società dove ognuno è parte di un tutto, e tutti condividono la fine della propria storia.[3]

Una piccola nota: i più di noi saranno abituati a pensare ad una traduzione come una trascrizione nella propria lingua da una lingua diversa fatta con traduttori automatici disponibili gratuitamente su internet. Bene, la traduzione non è questo. Traduzione è immergersi totalmente in una lingua, nella sua cultura, ed uscirne fuori con una veste diversa, ma fedele all’idea originaria. Un superlativo esempio di traduzione è il lavoro fatto da Umberto Eco con Esercizi di stile di Raymond Queneau.[4]

L’interesse italiano verso la letteratura americana durante gli anni ‘30-’40 ha un ruolo cruciale e molto simbolico, ovvero quello di aprire uno spiraglio nella cultura fascista chiusa ed autoreferenziale, e avere di conseguenza la possibilità di scoprire cose nuove, conferendo alla letteratura il potere della libertà.[5]

A proposito di letteratura e fascismo, per poter passare l’esame della censura, la traduzione della Pivano fu presentata come Antologia di S. River, facendo intendere che quella S. stava per San.[6]

L’impressione che la Pivano ebbe dallo studio dell’Antologia fu la seguente:

Non c’è dubbio che per un’adolescenza come la mia, infastidita dalla roboanza dell’epicità a tutti i costi in voga nel nostro anteguerra, la semplicità scarna dei versi di Masters e il loro contenuto dimesso, rivolto ai piccoli fatti quotidiani privi di eroismi e impastati soprattutto di tragedia, erano una grossa esperienza; e col tempo l’esperienza si approfondì individuando, coi temi di quel contenuto, il mondo che lo ispirava: la rivolta al conformismo, la brutale franchezza, la disperazione, la denuncia della falsa morale, l’ironia antimilitarista, anticapitalista, antibigottista [C2] : la necessità e l’impossibilità di comunicazione. In questi personaggi che non erano riusciti a farsi “capire” e non avevano “capito”, dal loro dramma di poveri esseri umani travolti da un destino incontrollabile, scaturiva un fascino sempre più sottile a misura che imparavo a riconoscerli; e per riconoscerli meglio presi a tradurli, quasi per imprimermeli in mente.”[7]

Tra la Pivano e la pubblicazione per Einaudi, però, c’è stato un altro personaggio chiave, ovvero Cesare Pavese: è lui, infatti, che lesse il primo manoscritto italiano dell’Antologia e lo propose per la pubblicazione all’Einaudi.[8]

In America il libro fu la raccolta di poesia più venduto fino a quel momento. E come ogni cosa di successo, fu amato ed odiato, accusato di pornografia, di essere rozzo, poco musicale, mentre altri definivano l’opera di Masters dignitosa, reale, piena di descrizioni vitali. Non c’è musicalità, perché non serve a creare la poesia dalla poesia, a quella ci pensa già la tragicità della vita delle persone sepolte presso il fiume Spoon.

Nell’opera di Masters si fondono insieme due mondi diversi, quello della campagna e quella della città, ma che in fondo si assomigliano perché le meccaniche dei rapporti umani e della psicologia delle persone sono sempre le stesse.

Inizialmente di professione avvocato, E. L. Masters [C4]  abbandonò il suo lavoro in seguito al successo della sua Antologia, ma morì in povertà nel 1950, poiché i ricavi della sua opera iniziavano a scemare, ed i proventi degli altri suoi lavori, insieme a quelli di alcune conferenze, non erano sufficienti a dargli uno stile di vita decente.

La raccolta dell’Antologia è composta da una serie di epitaffi perlopiù auto-enunciati dagli stessi defunti, seppelliti per la maggior parte nel cimitero di Petersburg (Virginia, USA), tuttavia i paesaggi descritti sembrano confondersi con quelli di Lewistown (Illinois, USA), dove Masters visse la sua adolescenza, città che è realmente attraversata dal fiume Spoon.

Nel secondo decennio del secolo scorso, la divisione tra le classi sociali americane iniziava ad acuirsi, ma soprattutto la porzione di lavoratori ed operai iniziava a farsi più numerosa rispetto a quella dei ricchi industriali. Ed è proprio questo dualismo ad essere al centro della letteratura americana dell’epoca; in questo contesto Masters s’inserisce raccontando le piccole storie e la psicologia degli uomini e delle donne che vivono ai margini della città, ai margini della società, ai margini della vita.

In uno dei suoi scritti, Pavese dice dell’Antologia: “Sono rarissime le caricature polemiche in Lee Masters. L’ardore di ognuna delle centinaia di anime sepolte in Spoon River si è fatto il suo ardore, e veramente il poeta ci parla per la bocca di ognuna.”

Si da voce a “mariti scontenti, mogli adultere, scapoli scontrosi e bambini nati morti”, con uno stile asciutto e diretto, simile ad una confessione spontanea resa nell’aula di un tribunale. Ogni morto restituisce alla vita il proprio racconto.[9] 


[1] Antologia di Spoon River, Einaudi, ed. 1993.

[2] J. Van Wagenen, Forum Italicum, 2019, 53, 679-698.

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Antologia_di_Spoon_River

[4] Antologia di Spoon River, Einaudi, ed. 1993.

[5] J. Van Wagenen, Forum Italicum, 2019, 53, 679-698.

[6] [6] J. Van Wagenen, Forum Italicum, 2019, 53, 679-698.

[7] Antologia di Spoon River, Einaudi, ed. 1993.

[8] Antologia di Spoon River, Einaudi, ed. 1993.

[9] Antologia di Spoon River, Einaudi, ed. 1993.

Autrice: Annarita N.
Cover Design: Ivo Guderzo

Tender – Blur

#12 Note a margine - Blur - Tender

#12 Note a Margine

Il contesto

Corsi e ricorsi storici, questa volta in campo musicale.

Se gli anni ’60 e ’70 videro protagonisti della scena musicale internazionale i Beatles ed i Rolling Stones, gli anni ’90 hanno visto contrapporsi, più per scelte giornalistiche che per propria volontà, i due gruppi di maggior spicco del britpop, ovvero i Blur e gli Oasis. Questa contrapposizione sfociò in una vera e propria battaglia il 12 agosto 1995, ovvero 25 anni fa, quando vennero pubblicati, nello stesso giorno, i singoli Country House dall’album The Great Escape dei Blur, e Roll with it da (What’s the Story) Morning Glory degli Oasis.

Le vendite dichiararono vincitori i Blur, sebbene successivamente furono gli Oasis a fare breccia nel difficile mercato musicale statunitense. Noi non ci schiereremo né da una né dall’altra parte, perché entrambe le band hanno saputo, nel corso della loro carriera, elaborare in maniera diversa, ma ugualmente originale e personale, i suoni tipici di band come i The Kinks o degli stessi Beatles.

L’ispirazione I

La canzone al centro della rubrica Note a Margine di oggi è Tender, che ha un’ispirazione a matrioska, ovvero la prima ne contiene un’altra; queste due sono, nell’ordine, Tenera è la notte, romanzo di F. Scott Fitzgerald, e Ode to a Nightingale (Ode all’usignolo)  del poeta inglese John Keats.

Il romanzo di Fitzgerald è stato rielaborato più volte; ne esistono infatti almeno cinque versioni, e la quarta è quella che ha visto la prima pubblicazione in quattro puntate nel 1934 sulla rivista Scribner’s Magazine. Fernanda Pivano ne ha curato la traduzione della versione italiana della quinta versione del romanzo, uscita nel 1949.

La vicenda si svolge sulla Costa Azzurra, ed è incentrata su diversi personaggi, perlopiù appartenenti all’alta borghesia; tuttavia il principale è lo psichiatra americano Dick Diver, che si innamora di Nicole Warren, che diventerà poi sua moglie. Tuttavia Dick conoscerà Rosemary Hoyt, una giovane attrice americana, con la quale intraprenderà una relazione clandestina, che però troncherà:

Buona notte bambina. È un gran peccato. Dimentichiamo tutto questo…
Tanta gente si innamorerà di te e sarà più bello incontrare il tuo primo amore tutta intatta, anche emotivamente.
È un’idea antiquata vero?

Alla fine del romanzo, Dick perderà anche la moglie, e ritornerà definitivamente negli Stati Uniti.

L’ispirazione II

Illustrazione di W. J. Neatby (1899)

Il titolo finale del romanzo Tenera è la notte compare solo in uno degli ultimi rimaneggiamenti del testo, ed è ispirato ad un verso dell’Ode all’usignolo di John Keats:

Away! away! for I will fly to thee,
Not charioted by Bacchus and his pards,
But on the viewless wings of Poesy,
Though the dull brain perplexes and retards:
Already with thee! tender is the night,
And haply the Queen-Moon is on her throne,
Cluster’d around by all her starry Fayscluster’d
But here there is no light,
Save what from heaven is with the breezes blown
Through verdurous glooms and winding mossy ways.

Via! via! perché volerò da te,
Non portato in cocchio da Bacco e dai suoi leopardi,
Ma sulle invisibili ali della Poesia,
Anche se l’opaco cervello si disorienta e indugia:
Già con te! tenera è la notte,
E per caso la Luna-Regina è sul suo trono,
Circondata da tutte le sue fate stellate
Ma qui non c’è nessuna luce,
Eccetto quella che è soffiata dal cielo con le brezze
Attraverso le verdeggianti oscurità e i serpeggianti muschiosi sentieri.

Keats scrisse quest’ode nel 1819, all’età di soli 23 anni (sarebbe morto due anni dopo); fu ispirata dal canto di un usignolo che aveva fatto il nido nelle vicinanze dell’abitazione del poeta inglese e fu conclusa in un solo giorno.

Il poema è basato sul contrasto tra usignolo e poeta, con il primo che ha guadagnato l’immortalità tramite il canto suo e della sua specie, mentre il secondo deve rassegnarsi alla sua natura mortale. Infatti, tutte le parole e verbi negativi sono legati al poeta, mentre tutte le espressioni positive sono legate all’usignolo.

In quest’ottica dualistica, la poesia rappresenta l’unione tra i due mondi, quello del poeta e quello dell’usignolo, e l’immaginazione in essa contenuta è la chiave con la quale in poeta può entrare nel mondo dell’usignolo. Allora ci si accorge di una triste realtà, ovvero che anche il mondo dell’usignolo è caratterizzato da una propria infelicità.

L’unico modo per il poeta per sfuggire alla sua natura mortale è, paradossalmente, la morte stessa.

La canzone

Tender” è il primo singolo estratto dall’album “13” pubblicato nel marzo 1999.

Il testo è un inno alle piccole cose che costruiscono la nostra intimità, ed è al tempo stesso, un inno all’amore, l’unico sentimento che può guarirci e migliorarci.

Lord I need to find
Someone who can heal my mind”

“Love’s the greatest thing
That we have
I am waiting for that feeling to come”

“Oh Signore, ho bisogno di trovare
Qualcuno che possa guarire la mia anima

“L’amore è la cosa più grande
Che abbiamo
Aspetto di viverlo”

Tra le immagini che creano un mondo intimo, c’è quella di un fantasma, anzi, dei propri fantasmi, ai quali si è così legati così come una persona rapita ama il proprio rapitore; questi fantasmi aspettano la notte per risalire dal profondo della nostra anima, e la logorano.

“Tender is the ghost
The ghost I love the most
Hiding from the sun
Waiting for the night to come”

“Tenero è il fantasma,
Il fantasma che amo di più
Si nasconde dal sole
Aspettando che venga la notte”.

L’effetto globale è quello di una preghiera universale, che supera i confini dello spazio e del tempo, ed abbraccia tutti nel nome dell’amore stesso. Questo aspetto è sottolineato nel ritornello dall’uso di un coro gospel; nella versione del disco il ritornello è stato affidato alla London Community Gospel Choir.

Una curiosità: la prima esibizione dal vivo dei Blur con questa canzone risale a Sanremo ’99.

L’ascolto

Le versioni di “Tender” di cui vi consigliamo l’ascolto sono essenzialmente due.

La prima è quella del video ufficiale, che rappresenta una registrazione del brano ripresa in bianco e nero, che rende tutto più intimo:

La seconda è quella di un Rockin’1000, dove piu’ di mille persone si riuniscono attorno ad un fuoco per cantare e suonare insieme una canzone, in questo caso “Tender”. Questa modalità di esecuzione rende tutto più corale ed universale.

Buon Ascolto!

Autrice: Annarita N.

Wuthering Heights

11. Note a Margine - Wuthering Heights. Kate Bush

#11 Note a Margine

L’ispirazione

Una storia d’amore, questa volta, di passione e di classi sociali in contrapposizione. Di ricco contro povero, di rozzo contro educato. Stiamo parlando, insomma, di Cime Tempestose di Emily Brönte.

Questo romanzo è stato pubblicato sotto lo pseudonimo di Ellis Bell nel 1847, solo un anno prima della morte dell’autrice, avvenuta a trent’anni a causa di una salute cagionevole e della tubercolosi. Cime Tempestose rappresenta a pieno il romanzo vittoriano e vale la pena leggerlo almeno una volta.

La canzone, l’artista

Dal punto di vista musicale, uno degli artisti legati a questo romanzo è senza dubbio la cantante inglese Kate Bush: il suo album di debuttò del 1978, infatti, contiene la canzone che l’ha resa celebre, cioè Wuthering Heights. Il mio primo ricordo di questa canzone è legato, ahimè, ad una pubblicità di una nota marca di gelati.

Ecco qualcuno che non ha paura di leggere, qualcuno che non ha paura degli scrittori e che non ha paura di trasporli… di fare da intermediario, di essere una porta tra il mondo dei libri e il mondo del rock.

The Kate Bush Story, BBC Documentary

La rete di stato britannica BBC ha realizzato un interessante documentario sulla figura di questa eclettica artista, del quale consigliamo la visione:

Kate Bush al debutto ha solo 20 anni, e di canzoni ne ha scritte già un centinaio. Da giovanissima studia sia danza che mimo e pianoforte, tutte espressioni artistiche che emergeranno a pieno nella sua carriera da cantante.

Kate deve il suo ingresso nel mondo discografico grazie a David Gilmour (voce e chitarra dei Pink Floyd), nonché alla sua particolare voce da soprano, che riesce a coprire un’estensione di tre ottave.

Oltre a Wuthering Heights, altri successi della cantante inglese sono Babooshka, Running up that hill (ripresa nel 2003 dai Placebo) e Don’t give up, in duo con Peter Gabriel.

Il testo

Il testo è una lunga confessione, o meglio una lunga richiesta di essere amata fatta da Catherine, protagonista del romanzo, a Heathcliff, suo fratello adottivo, apparentemente lontano da lei anni luce per classe sociale, comportamento, educazione e carattere. I due s’innamoreranno, vivranno un amore breve ma intenso.

Heathcliff, it’s me, I’m Cathy
I’ve come home, I’m so cold!
Let me in through your window
.

Heathcliff, sono io, Cathy
Sono venuta a casa, ho tanto freddo!
Fammi entrare, sono alla finestra.

Il testo riprende a pieno le atmosfere del romanzo, a partire dall’atmosfera selvaggia delle brughiere inglesi al carattere impetuoso di Heathcliff; ad esempio, si fa esplicito riferimento al rapporto amore/odio tra i due protagonisti (I hated you, I loved you tooTi ho odiato, ma ti ho anche amato), nonché al destino di Catherine (Bad dreams in the night they told me I was going to lose the fight – Dei cattivi sogni mi hanno detto che perderò la battaglia)

Sembra che le parole delle canzone siano state scritte dalla Brönte stessa, ma in realtà l’unica autrice è Kate Bush che, diciottenne, viene ispirata dalla mini serie della BBC del 1967, tratta dal romanzo stesso.

La melodia accompagna passo passo il testo, diventando più cupa e chiusa in alcuni tratti, ed aprendosi con una melodia di ampio respiro durante il ritornello.

Il singolo, pubblicato nel gennaio 1978, raggiunge la prima posizione in Gran Bretagna l’11 marzo dello stesso anno, conquistando un primato, ovvero quello di primo singolo scritto ed interpretato da una donna a raggiungere le vette della top-ten.

L’ascolto

Il video ufficiale, anzi si tratta di due video ufficiali, meritano entrambi di essere visti almeno una volta: emergono chiaramente le atmosfere a tratti spettrali del romanzo prima, della canzone poi, nonché gli studi di danza e mimo fatti durante l’infanzia da Kate.

Numerosi artisti hanno realizzato una cover di questa canzone. Ad esempio, Mia Martini ne ha creata una versione con testo italiano che ha suscitato, però, alcune perplessità, perché sembra che la traduzione sia stata fatta con un traduttore automatico.

Una tra le reinterpretazioni più riuscite è quella degli Angra, gruppo metal Brasiliano.

Vi segnaliamo anche questa simpatica versione swing della The Ukulele Orchestra of Great Britain: senza dubbio diversa dall’originale, ma proprio per questo degna di nota, perché ne è stata fatta una lettura nuova, ritmata, spensierata, allegra, ma senza snaturare o ridicolizzare il tutto.

Buon ascolto!

Autrice: Annarita N.
Cover design: Valerio Ichikon Salzano

White Rabbit

White Rabbit - #10 Note a Margine - The Jefferson Airplane

#10 Note a Margine

Il mio classico Disney preferito è senza dubbio Alice nel paese delle meraviglie. Ne conoscevo a memoria tutte le battute e lo guardavo almeno una volta al giorno.

Spesso, però, quando mi trovo a chiedere delle preferenze sui classici Disney e mi trovo ad esprimere la mia, ottengo come risposta una smorfia: questo cartone genera, in molte persone, smarrimento e forse anche un po’ di angoscia.

In fondo, si tratta di una bambina che, spinta dalla sua curiosità, si ritrova in un modo al contrario dove succedono cose non proprio normali… Insomma, una trama forse non troppo tranquillizzante per alcuni caratteri suscettibili.

L’ispirazione

Il romanzo dal quale ha tratto ispirazione la canzone di oggi per la rubrica Note a margine è Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie scritto nel 1865 da Lewis Carroll (pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson). È considerato uno dei capolavori della letteratura non-sense, ed i suoi personaggi hanno esercitato una notevole influenza sulla cultura popolare, specialmente in relazione alla letteratura fantasy.

La stesura del romanzo segue una gita in barca che il suo autore fece il 4 luglio 1862 insieme al reverendo Robinson Duckworth, ed alle tre figlie di Henry Liddell (vicecancelliere dell’Università di Oxford e decano di Christ Church) Lorina, Alice e Edith.

Una delle versioni finali del romanzo fu regalata da Charles Dodgson ad Alice, ed era impreziosita da illustrazioni dello scrittore stesso.

Il libro è incentrato su molte figure retoriche, giochi di parole, proverbi e riferimenti alla cultura inglese, e per questi motivi ha sempre rappresentato un’ardua sfida per i traduttori.

La canzone

Un’opera così complessa non poteva non influenzare il mondo del cinema e della musica.
Una delle canzoni ispirate a questo romanzo è senza dubbio White Rabbit dei Jefferson Airplane.

Il brano è contenuto nel secondo album del gruppo pubblicato nel 1967, Surrealistic Pillow, ed è considerato uno dei capisaldi del rock psichedelico, inserito dalla rivista Rolling Stones  nell’elenco delle 500 migliori canzoni di sempre.

La canzone è stata scritta da Grace Slick, entrata a far parte del gruppo con questo album, ed è naturalmente influenzato dalla cultura di fine anni ’60, quando l’utilizzo di droghe come l’LSD era molto diffuso, tra le altre cose, come strumento per cercare nuovi mezzi espressivi.

Il testo

Nonostante il tema molto caldo per l’epoca, il brano è costruito in maniera magistrale; tant’è vero che non subì la censura da parte delle radio perché non comparivano riferimenti espliciti all’uso di droghe.

Il testo riprende in maniera diretta alcuni tratti ed episodi del romanzo:

One pill makes you larger,
and one pill makes you small

Una pillola ti fa diventare più grande,
e una pillola ti rimpicciolisce

Vengono citati alcuni personaggi del libro, come Alice stessa, il Bianconiglio, il Bruco e la Regina di Cuori.
Alcuni dei versi più belli sono racchiusi nel finale, ed invitano a liberare sia la mente che i sensi:

When logic and proportion
have fallen sloppy dead
And the white knight is talking backwards

And the red queen’s off with her head
Remember what the dormouse said
Feed your head, feed your head

Quando la logica e le proporzioni (delle cose)
sono cadute morte al suolo
e il cavaliere bianco sta parlando all’incontrario

e la regina di cuori ha perso la sua testa
ricorda quello che aveva detto il ghiro:
alimenta la tua mente, alimenta la tua mente

Lo scontro tra due mondi, tra due generazioni opposte tra di loro viene ripreso dai versi the ones that mother gives you, don’t do anything at all (quelle –le pillole- che ti dà tua madre, non servono a nulla): si rinnega apertamente il passato, con tutto il suo bagaglio culturale.

La canzone divenne una vera e propria bandiera per i giovani dell’epoca, legati in maniera salda all’idea di pace, amore e psichedelia. Nonostante la canzone non sia uno dei più grandi capolavori della musica internazionale, lo è diventato proprio perché ha saputo incarnare e racchiudere in due minuti e mezzo lo spirito dell’epoca.

Infatti, una seconda e diversa interpretazione del testo attribuisce a White Rabbit il ruolo di canzone contro la guerra: non dobbiamo dimenticare che in quegli anni la guerra del Vietnam (1955-1975) era nel suo pieno svolgimento. Allora i versi chasing rabbits (inseguire i conigli) e hookah-smoking caterpillar (bruco fumatore di narghilè) possono essere associati a coloro che partirono per il Vietnam per inseguire i Vietcong e a coloro che invece hanno disertato.

Ed ancora il verso the men in the chessboard get up and tell you where to go (gli uomini sulla scacchiera si alzano e ti dicono dove andare) può essere riferito all’apparato militare che impartisce ordini ai soldati semplici.

Alla luce di tutto ciò, White Rabbit può essere vista come un invito alla società americana, ed io aggiungerei mondiale, a non restare inerme ed assopita di fronte a certe tematiche, di fronte a certe notizie, e a risvegliare la propria mente, alimentandola costantemente (feed your head).

Ecco perché l’FBI ha inserito questa canzone in un elenco di canzoni sovversive.
Ecco perché questa canzone è diventata il simbolo di una generazione.

La musica

L’autrice ha apertamente dichiarato di essersi ispirata allo stile del bolero (danza spagnola risalente al XVIII secolo); per chi fosse a digiuno di stili musicali di stampo classico, un celebre esempio di bolero è quello composto da Maurice Ravel nel 1928.

Come la stessa Grace Slick ha dichiarato, una forte influenza sulla composizione della musica di questo brano è dell’album Sketches of Spain di Miles Davis & Gil Evans: l’ispirazione spagnoleggiante, infatti, è molto chiara, soprattutto all’inizio del brano.

L’atmosfera militaresca viene ripresa dal ritmo incalzante, preciso, a tratti angosciante, a carico dei rullanti. Il giro di basso, molto sensuale e sempre presente durante tutto il brano, contribuisce ad accrescere il senso di angoscia e di smarrimento.

Sebbene la melodia non presenti complessità vocali, per una sua piena interpretazione è necessaria una voce grave, intensa, profonda, proprio come quella di Grace Slick; le doti interpretative, la precisione vocale, in questo caso, contano molto più delle capacità vocali, di fare gorgheggi, di essere un soprano con un’elevata estensione vocale.

La canzone si sviluppa su una tonalità minore, andando in maggiore soltanto nel ritornello, ma soprattutto in corrispondenza del verso finale Feed your head, che rappresenta l’amplesso di un rapporto sessuale, dove viene liberata la tensione che cresce per tutta la durata del brano.

L’ascolto

Una delle migliori versioni live è, naturalmente, quella eseguita all’interno del festival di Woodstock del 1969.

Sebbene ne siano state realizzate diverse cover, non ce ne sono molte che sono all’altezza di Grace Slick; forse solo una, quella di Loreen, cantante svedese di origini berbere, che vi proponiamo in una sua versione live. Prima di cantare, però, Loreen dice delle cose che condivido e che vi ripropongo qui:

Questa non è una mia canzone, ma ognivolta che la canto mi sento potente, e spero che anche voi vi sentiate potenti.

L’epilogo

White Rabbit è una canzone di una generazione, con una forza intrinseca immensa ed esplosiva, ancora oggi attualissima per il suo invito ad inseguire la pace e non le armi, a liberarsi delle sovrastrutture mentali imposte dalla società per alimentare, davvero e fino in fondo, la nostra mente, in modo da capire dov’è il giusto e lo sbagliato, in modo da capire chi è buono o cattivo.

In caso di difficoltà, Go ask Alice / Chiedete ad Alice.

Buon Ascolto!

Autrice: Annarita N.
Cover design: Valerio Ichikon

LINK ED APPROFONDIMENTI

Frammenti

#9 Note a Margine

E’ difficile creare un pezzo di arte ex-novo.
Ma è ancora più difficile creare arte con un qualcosa che già lo è.
Solo in pochi potevano avere un’idea così, e ancor meno persone potevano riuscirci.
Franco Battiato è uno di questi.

La canzone che vi presentiamo oggi per la rubrica Note a Margine è Frammenti di Franco Battiato.
Fa parte dell’album Patriots pubblicato nel 1980 (40 anni fa) per la casa discografica italiana EMI. Questo è il decimo lavoro pubblicato dall’artista di Riposto (provincia di Catania) e contiene alcuni dei suoi più importanti successi, come Up Patriots to Arms e Prospettiva Nevski.

Il testo del brano è molto particolare, poiché contiene diverse citazioni prese dalla poesia italiana:

  • La donzelletta vien dalla campagna in sul calar del sole (Il sabato del villaggio, Giacomo Leopardi, 1829).
  • Me ne andavo una mattina a spigolare quando vidi una barca in mezzo al mare (La spigolatrice di Sapri, Luigi Mercantini, 1858).
  • I cipressi che a Bolgheri alti e schietti vanno da San Guido in duplice filar (Davanti San Guido, Giosuè Carducci, 1874).
  • Hanno veduto una cavalla storna riportare colui che non ritorna (La cavallina storna, Giovanni Pascoli, 1903).
  • D’in su la vetta della torre antica passero solitario alla campagna (Il passero solitario, Giacomo Leopardi, 1835).

A questi noti versi, Battiato ne alterna alcuni propri, ed il risultato è la creazione di un’unicum, di una descrizione unitaria di immagini di una vita semplice, provando e testimoniando la profonda conoscenza della letteratura italiana e la padronanza dell’artista siciliano di manipolare versi antichi per crearne dei nuovi.
Allo stesso tempo, però, ascoltando il testo si ha la sensazione di essere di fronte ad un testo impressionista, nel senso che con poche pennellate di parole Battiato riesce a farci visualizzare dei fermi immagine di vita reale.

Un testo così particolare non poteva di certo avere un accompagnamento musicale banale. L’intro, che si ripete costantemente per tutto il brano, è affidato al basso. Non ci sono grosse linee melodiche, creando l’effetto di un lungo recitativo.

Il finale è improvviso e calmo, in contrasto con il ritmo incalzante di tutto il brano.

Ecco a voi Frammenti:

Buon ascolto!

Beethoven, la Nona Sinfonia e l’Inno alla Gioia: Tutti gli uomini diventano fratelli (quarta ed ultima parte)

Quest’anno si celebra il 250° anniversario dalla nascita di Ludwig van Beethoven.
Noi di ErrareUmano vogliamo celebrarlo a modo nostro,
come meglio sappiamo fare, ovvero attraverso la scrittura.
Festeggiamo insieme questo compleanno tramite una delle sue opere più importanti,
che ha lasciato un segno indelebile nella nostra cultura:
la Sinfonia n. 9 in Re min.

#8.4 Note a margine

I temi, la filosofia, la musica

La produzione musicale di Beethoven può essere idealmente divisa in tre periodi, e l’ultimo, quello alla quale la Nona può essere ricondotto, viene generalmente associato alla stesura di partiture più complesse del musicista tedesco, sia da un punto di vista strettamente musicale che da un punto di vista prettamente filosofico.

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