Ermetico da Mutua

Cicciomede da Vaffambaffola non era un poeta qualunque.  
Tanto per cominciare non era nemmeno un poeta, ma la classica persona sbagliata che si trova al momento sbagliato nel posto accanto a quello giusto.  
Non lo era nemmeno all’epoca di cui cerchiamo di raccontare ricercato come era in tutto il continente. Non poteva esserlo. 

Per lui andava bene così. Soprattutto perché non se ne rendeva conto. Aveva solamente con sé quel suo strano libro di cui seguiva le istruzioni quasi alla lettera, anche quando erano semplici metafore. E quando non lo erano, bè, sarebbe stato meglio che lo fossero state. 

Ad ogni modo, a quanto suggeriva il suo libro parlante (che in effetti non parlava ma si scriveva da solo) doveva starsene buono e non rivelare a nessuno la propria identità o le sue origini. 

Cosa semplice per l’epoca. Gli bastava non dire nulla, come insegnavano alcuni popoli dell’est, e starsene buono fingendo di essere uno qualunque. Doveva solo cercare un lavoro, magari a bottega, da apprendista o garzone, e lasciar passare il tempo. 

Peccato che Ermetico (il nome con cui si faceva chiamare) aveva deciso di lavorare a servizio in una taverna di un villaggio oltre lo stretto, dove si intratteneva in tenzoni poetiche e battaglie a rima baciata con gli avventori da tutto il continente. Divenne talmente abile, aiutato certo dall’ottimo idromele di quelle regioni, che si fece anche una reputazione: era conosciuto anche come Ermetico da Mutua (il nome del villaggio) oppure Ermetico dei Pazzi, dai più critici, per qualcuno era Ermetico di Famiglia Ignota, dai più pettegoli. 

Quasi ogni giorno arrivavano poetesse e rimatori per misurarsi con lui a suon di strofe. Come quel giorno in cui giunse a Mutua una poetessa di nome Andreina desiderosa di conoscere questo portento di cui si parlava fino all’Emmeponto e oltre. Ebbene, a giudicare dall’espressione di chi vede un cavallo sedere in sella a un cavaliere, era decisamente perplessa nell’osservare quel servitore tenere banco su uno dei tavoli della taverna e riconoscervi Cicciomede da Vaffambaffola. 

Anche a questi prese un colpo quando la poetessa si fece avanti per sfidarlo, a giudicare dall’aspetto di qualcuno che aveva abbandonato questo mondo. 

L’aveva fatto davvero. Morire. Per un istante.  

Ritornato in sé, per non perdere la faccia di fronte al pubblico attonito, Ermetico cominciò ad apostrofare la sfidante meglio che poteva. 

Or che ci fa tal donzella  
nell’umile taverna  
di Mutua, villa novella  
ma di già etterna? 

(Boato del pubblico, ormai avvezzo agli stili poetici più disparati). 
La poetessa rispose in un silenzio pieno di aspettative e sprezzo:

A dire il vero arrivai  
Per incontrare a bella posta,  
per quanto mi costa,  
il grande Ermetico
di cui si sente parlare assai. 

(“Uno schema ABBA con variante C”, pensò il pubblico con stupore, “in gamba la donzella!”). 
Nella sala calò il più rispettoso silenzio. Era il turno di Ermetico:

La fama mi precede  
e pur domando mercede  
di mancar di dare importanza  
a un servitore umile  
e dedicare alla danza  
una serata altrimenti futile.  

(Sghignazzi del pubblico).

Non si curi l’umile poeta  
del trascorrere delle mie notti.  
Mi illumini piuttosto  
sul motivo per cui sopra botti  
di faggio trascorre le sue sere  
invece che al suo posto. 

(Schema ABCBC con enjambement: il pubblico era estasiato) 

Cicciomede/Ermetico, provando a non inghiottire anche la lingua insieme all’ultima goccia di saliva che gli era rimasta, provò a farsi coraggio per non perdere la faccia di fronte al suo pubblico. Prese un gran respiro e ribatté con tono aulico indicando con solennità il portalanterne che pendeva dal soffitto. 

Si può forse domandare alla luna
di interrompere la sua corsa attraverso la bruna  
notte stellata? Sarebbe ogni richiesta vanificata.  

 
(“Grande senso del dramma! Il poeta si difende bene”, altro boato del pubblico). 
Andreina incalzò:

E pur la luna non corre il periglio
di essere braccata, non ha nascondiglio  
che la possa contenere  
poiché non ha segreto alcuno da mantenere. 

(“Prosaico, ma di classe”, pensò il pubblico che volse immediatamente lo sguardo verso Ermetico, impaziente della risposta). 

È pur vero che la luna non ha bisogno alcuno di celarsi e non conosce segreto  
ché tutto vede, ma a niente pone il veto.  
Il poeta, suo umile servitore, sa della sua faccia nascosta, seppur non può vederla. 

(Questa risulta davvero troppo ermetica anche per Ermetico, ma gli applausi partono sulla fiducia). 

Se ne conoscesse uno oppure venti,  
il poeta non li tratterrebbe tra i denti. 

(Rima baciata, gioco di parole, risposta secca: ottima ripresa, anche se nessuno ha ben chiaro di cosa stiano parlando). 

Mancanza di fiducia  

forte in petto brucia. 

(Il poeta risponde con i detti popolari, il pubblico è affascinato, qualcuno si asciuga le lacrime). 

Non è mancanza di fiducia. 
Altrimenti non sarebbe solo il petto  
del poeta bruciare.
Ma tutta la tua coscienza. 

La frase era stata pronunciata senza metrica: la sfidante aveva perso e il poeta restò imbattuto. Il pubblico era in visibilio e ordinò ancora da bere alla salute di Ermetico da Mutua, sommo rimatore. “E sbrigati a portarcela!”, gli strillarono dai tavoli mentre il poeta, attonito, guardava la poetessa farsi strada tra la folla e scomparire.

Più tardi, a notte fonda, mentre soffocava le candele dell’insegna della locanda, il poeta o quello che era non riusciva a capirlo nemmeno lui, sentì un fruscio. Spaventato, si voltò di scatto. Non vide nessuno. Solo un foglio di pergamena che si era adagiato a terra sostenuto da uno sbuffo d’aria. 

Lo srotolò sgranando gli occhi per scrutare qualche sagoma nel buio. 

Rimettiti in cammino poeta  

ché non è tuo destino trovare una meta.

Andreina del Sabello

Si guardò ancora intorno, guardingo, si infilò la pergamena nel tascapane e si affrettò a tornare a casa.  
Per lo spavento e la fretta dimenticò di spegnere l’ultima delle candele della taverna, che il giorno dopo fu ritrovata carbonizzata da cima a fondo. 

Era davvero un pessimo servitore.  

 
Il mattino dopo lo cercarono dappertutto, ma non ne era rimasta traccia e di Ermetico da Mutua, poeta di ventura e garzone di taverna, non si seppe più nulla.

Da quel pomeriggio non si ebbero notizie nemmeno del piccolo villaggio di Mutua, occupato da un esercito straniero. 

“Con notevole senso del ritmo”, secondo gli abitanti del luogo. 

Storia e testo: Francesco Di Concilio
Editing: Francesco PennaNera
Copertina: Ivo Guderzo

La Gilda delle Mercantesse – Parte 4 di 4

In fuga da Usma

ttanagliate da continui controlli, le mercantesse si risolsero a fuggire in fretta e furia, per quanto si possa fuggire in fretta e furia con una carovana composta di mule, cavalli e un centinaio tra donne, merci e prole.

A poche migliaia di ruote di distanza dalle mura di Usma, le diverse carovane si separarono in tante piccole Gilde, che andarono una per ogni direzione del vent per portare avanti i loro commerci e la loro missione educatrice.
Purtroppo, la tranquillità durò per poco tempo. Dopo qualche luna, Usma inviò messi in tutti i villaggi del Continente, che in cambio di ricchi benefici, convinsero i signori locali a impedire i traffici delle mercantesse.

Le Gilde erano bandite ovunque e le mercantesse dovettero passare alla clandestinità. Non si è saputo più nulla di loro, fino ad oggi, seppure l’eredità del loro passaggio è ancora visibile.
Dopo di loro le donne potevano commerciare insieme e al pari degli uomini, o senza di loro se gli pareva, e le spedizioni commerciali non si accompagnavano più a orde di soldati affamati di sangue e bottino. “Commerciare senza ammazzare” divenne una regola ovunque, seguita ancora oggi.
Con la Gilda è scomparsa anche la loro scoperta, di sicuro una delle cause di tanto accanimento da parte degli Usmanni, i quali non riuscirono mai a riprodurla, né a carpire il segreto dal cartaio, scomparso in circostanze misteriose mentre si trovava agli arresti, prima di poter essere interrogato.

E’ probabile, o meglio, a me piace pensarlo, che le mercantesse arrivarono anche a Vaffambaffola e oggi, chissà, vivono in mezzo a noi, in attesa del momento giusto per riprendersi ciò che gli è stato tolto.

La lezione terminò in mezzo agli applausi. Anche Caterina del Luppolo vi aveva assistito e si fece strada tra la folla per andare ad abbracciare Morgana, sommersa di doni e di complimenti.
All’epoca nessuno di noi sospettava nulla, eppure mi sembrò di notare, tra le gambe della gente, qualcosa che si muoveva. Mi avvicinai per guardare meglio, ma quando la folla si disperse, per terra c’era solo un foglio di carta spiegazzato con una scritta:

Che il topolino del sapere porti a chiunque il mio messaggio:
la storia è finita, per ora…

 Testo e storia: Francesco Di Concilio
Segni e disegni: Ivo Guderzo
Web & real editor: Francesco PennaNera

La Gilda delle Mercantesse – Parte 3 di 4

La carta animata.

sma era una città animata e coinvolgente.
La Gilda decise di stabilirsi per qualche mese in un accampamento fuori le mura, mentre Tenakari e le sue figlie presero in affitto una piccola bottega non lontana da quella del cartaio dove poter svolgere insieme a lui esperimenti sulla cellulosa speciale.
Nella Gilda, tuttavia, serpeggiava il malcontento. Più di una mercantessa sospettava che Tenakari stesse facendo affari in privato tralasciando gli interessi del gruppo, ma ancora nessuna aveva azzardato ad accusarla pubblicamente per via dell’antico rispetto che provavano nei suoi confronti.
Ma fare affari da sole costituiva una grave violazione dei principi della Gilda, gli stessi principi che la mercantessa fondatrice aveva contribuito a stabilire perché nessuna prevalesse sulle altre.
Tenakari, così, fu convocata d’urgenza nella grande tenda del consiglio per fornire spiegazioni. Le mercantesse erano sedute in cerchio. Al centro c’era Tenakari con le piccole avvinghiate alle sue gambe.

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La Gilda delle Mercantesse – Parte 2 di 4

La fuga di Tenakari

enakari era convinta che un mercato gestito da femmine coraggiose fosse più efficace e meno mortifero di quello gestito dai maschi, o dalla maggior parte di loro, per il semplice fatto che esisteva, secondo lei, un modo di commerciare senza ammazzare, ovvero commerciare-senza-ammazzare.
Tuttavia, era cosciente che un’affermazione questa le avrebbe garantito il posto d’onore ad un grande falò in mezzo alla piazza di un villaggio qualunque.
Così decise di scegliere una strada che non portasse diretta al rogo: travestì le sue figlie da fanciulli e lei stessa indossò vesti da mercante con un ampio turbante dalle volute vaporose che celavano i lineamenti del suo viso.

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La Gilda delle Mercantesse

A Vaffambaffola story

Prequel

Un giorno, quando ancora regnava Pidaar, bussò alla porta della Taverna una ragazzina vestita con una specie di sacco di velluto viola cangiante, legato in vita con una corda di spago intrecciato. Era scalza e sporca, aveva le mani impastoiate di una melma scura che sembrava pece, le cui macchie non si tolsero nemmeno dopo numerosi e approfonditi lavaggi e le restarono sui palmi delle mani come le pezze del manto di una mucca di montagna.
Clodoveo del Luppolo, quando la vide sull’uscio, le domandò: – E tu chi sei? – La ragazzina rispose: – Mi chiamo Morgana, mescolo insieme le cose.
– Bene, – risposte l’oste senza fare altre domande – mi aiuterai a fare una birra decente.

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L’ultima scena – A Vaffambaffola story

(Un prequel travestito da spin-off)

ra una sera come tante, qui, alla Taverna.

Fumo di brace, odore di bruciato, imprecazioni provenienti da dietro il bancone, cori, accenni di risse. Forse appena più tranquilla delle altre sere, a dire il vero.

Clodoveo aveva scampanato per l’ultimo giro, “o la campana ve la suono in testa” aveva aggiunto, e prese a soffiare sui lumi per lasciare il posto al primo e timido chiarore dell’alba. Stava per spegnere le candele dell’insegna, quando qualcosa sbucò dalla boscaglia provocandogli un grosso spavento e, di conseguenza, provocandosi, il qualcosa intendo, un grosso occhio nero.

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