TOMAKAK, IL REATTORE A FUSIONE NUCLEARE CHE ADDOMESTICA IL SOLE
Fonte: Corriere della Sera (Esteri)
Notizia del 07.11.2019
Ambientazione: Francia, Aix-en-Provence
Informazioni di base: Progetto Iter – Reattore a fusione nucleare
“La campagna è silenziosa Antima, all’alba di questo diciassette giugno 2025. Si stende, sotto il mio sguardo, fresca e immobile, come i tuoi occhi d’ambra, come quel corpo che ho salutato ieri, forse per sempre, ora catturato in un fotogramma di ricordo, di te sdraiata in spiaggia, fresca e immobile, dopo il bagno, quando ho osservato le gocce d’acqua salmastra diminuire, asciugandosi sulla tua pelle, e risalire poi dalla tua pelle all’aria; ti prosciugavi, riducendoti a quel nucleo di energia gialla che sei anche tu, luce pulsante, agglomerato di atomi, mia Iter.
Finalmente è stato dato l’annuncio: l’elios425 è in commercio. Per acquistarlo cifre esorbitanti al momento, ma sono convinto che nel breve tempo, nel giro di qualche decennio, ognuno avrà il suo sole in tasca e nessun sole più potrà spegnersi, nessun sole morire. È ufficiale: Il congegno funziona. Ed è sempre l’amore a muoverlo, l’amore ad attivarlo.
Ne abbiamo dato prova noi due insieme a centinaia di altri selezionati per la sperimentazione. Tre lunghi anni. Tre lunghi anni di incontri, nella comune degli altri, per passarci al vaglio dell’onestà, della sincerità, tre lunghi anni di iniezioni di cattiveria e inganni, ognuno mirato a testarci, ad esaminare la mia e la tua resistenza, tre lunghi anni a bruciare.
E dopo analisi e litigi, le inevitabili resistenze che ci hanno trascinato per trecentosessantacinque giorni a vagare nelle valli del pianto automatico e della menzogna calcolata, dopo le allucinazioni e gli incubi dovuti all’assunzione degli agenti attivanti, dopo la scelta definitiva ricaduta su di te e l’accettazione del lutto per l’imminente perdita di una simbiosi così ardente, Antima, noi stiamo per entrare nella Storia.
Non è la storia dei piccoli. L’elios 425 è tutto quanto possa consentire alla nostra specie di non estinguersi. Con la prossima glaciazione sarai la mia salvezza, tu che sei oggi la mia rovina. Come oggetto d’amore sarai la materia prima del reattore. Sarà questa immensa passione, questo fuoco che arde al centro di ogni cuore d’esistente prima o poi, che brucia al centro della terra, ma che si propaga dalla superficie del sole come dall’involucro del sentimento di cui ti ho sommersa, quella pellicola densa che ti ricopriva, plasma, magma fluorescente di intenzioni finalmente così compiute per uno scopo più ampio. Non è da tutti, Antima, amare. Non è da tutti nutrire la vita. Eppure è toccato a te il compito più elevato, il ruolo più eroico.
Sarai tu, che hai saputo trattenere il mio e il tuo amore, che non ti sei spesa, non ti sei consumata a finire in una bolla di fuoco. A me spetta il compiangerti e il sacrificio di sopravviverti, di conservare la consapevolezza e tramandarla, e non essere mai, per altri, ciò che tu sei stata per me. Quanto accaduto ad Alberto e Maria è pressoché identico. Ciò mi conferma che rientriamo in una casistica ben inquadrata, in un paniere di amanti scelti tra centinaia di migliaia che invece vivono il loro idillio e lo consumano in fissioni continue, senza mai fondersi.
Che questa pazzia che ci è toccata in sorte, questo vuoto pressoché assoluto che abbiamo alla fine saputo generare, è l’ambiente ideale perché una scintilla sorga, dieci volte più potente di ciò che anima la nostra unica indispensabile stella. Martin mi aveva avvisato: verranno poi le notti insonni, le immagini di lei come in un rogo e con esse i fantasmi.
Ti ho visto scioglierti con immenso calore di guance, e non reggere il peso delle tue stesse palpebre ai miei occhi imploranti. Ti ho vista esangue impallidire per donarmi un nucleo di elementi semplici ma infinitamente potenti.
È andata così: il giorno prescelto il reattore è stato attivato alle 4:25. I supervisori ti hanno spogliato della tuta. Non eri per loro più che una massa enorme di particelle, le vedevano splendere come globuli d’oro uniti in una catena, e potevo vederle anche io, sullo schermo che scansionava il tuo corpo docile, ammansito. I parametri vitali risultavano perfetti. Non hai avuto paura o eri troppo terrorizzata affinché qualcosa mutasse nella fisiologia della tua esistenza di animale. Ti sei adagiata, al suo interno, tra braccia magnetiche che ti avvolgevano stretta ma senza costringerti, senza soffocarti. Le cinghie sono state fissate alle tue caviglie, poi ai tuoi polsi.
Dall’interno il reattore luccicava del bianco laccato del metallo che ne ricopriva le pareti, e tu respiravi quel bianco, divenendo sempre più trasparente ai miei occhi. Ci hanno concesso di mantenere un contatto audio per tutta la durata del processo. Non me la sono sentita di abbandonarti, anche se avrei preferito. I tuoi gemiti, all’attivarsi delle correnti elettriche che avrebbero portato alla riduzione degli isotopi affinché potesse generarsi il plasma, restano la colonna sonora dei miei giorni. In quei momenti, cercando di fuggire l’inevitabilità del futuro, ti ho immaginata, ferma, sulla porta di casa, con un fiore di gerbera tra le mani. Non era possibile fosse una realtà, seppure della memoria di un pazzo innamorato. Non hai mai amato donarmi fiori.
L’accensione è durata alcuni secondi. Poi soltanto l’abbacinante bagliore di un’esplosione, senza altra conseguenza che un tuo deperimento e quella gocciolina di materia pura e densa che presto chiameremo “sole” caderti giù dagli occhi.
Ti ho raccolta, l’indomani, asciutta e piena di colpe da impartire alla mia coscienza. Di averti rubata ai tuoi pari, quelli che vivono per emanazione e sono tutti lì, come li vedi, creature di superficie quale sarei diventato anche io, ora che ti avevo persa, per le quali la complessità dei fondali dell’ego è veleno. Non sentivi più il peso di un giudizio nel mio richiamarti continuo alla profondità dei rapporti, ora che in quel gesto estremo dimostravi a te stessa e a me il tuo profondo valore. Luce pulsante, agglomerato di atomi, mia Iter. Ti avevo amata. Così tanto da non conservare per me nulla, da rovesciare su di te e contro di te tutto ciò che era in mio potere. Tutta la mia futile umanità dopo che ci avevano imprigionato e avevano fatto di noi delle cavie. In fondo così, ero solo fuso con te.
Nelle ventiquattro ore successive, abbiamo avuto appena il tempo di ricordarci di quando tutto aveva avuto inizio. La mia testa sulla tua pancia, leggendoti un canto d’amore che ci chiedeva di avere l’ardire di turbare l’universo. Poi sei mutata in stella, ti porto in tasca.”
Testo: Francesca Schiavo Rappo
Copertina: Pigutin