
L’arte africana agli africani?
Sono passati quasi due anni da un annuncio epocale che ha fatto scalpore nell’opinione pubblica e che tuttora è oggetto di dibattito in Francia.
E’ il 28 novembre 2017 e il Presidente francese Emmanuel Macron, durante una visita ufficiale in Burkina Faso, annuncia la necessità per i paesi europei di dare una svolta decisiva alla fase di decolonizzazione; dando il via al processo di restituzione “temporanea” o “definitiva” di manufatti e reperti archeologici sottratti ai paesi sub-sahariani durante il periodo di occupazione.
(fonte France24)
Il rapporto Savoy-Sarr
A un anno dalle dichiarazioni di Emmanuel Macron viene redatto il “Rapporto sulla restituzione del patrimonio culturale africano. Verso una nuova etica delle relazioni”.
Redatto dallo scrittore e studioso senegalese Felwine Sarr e dalla storica dell’arte francese Bénédicte Savoy. Il rapporto cerca di dare delle linee guida per agevolare la possibile restituzione dei beni in oggetto, proponendo l’istituzione di un “comitato congiunto per la restituzione” che dovrebbe riunirsi ogni anno per i successivi sei.
Gli oggetti da prendere in considerazione sono quei beni ottenuti in guerra, quindi frutto di saccheggio, prima della convenzione dell’Aia del 1899, i beni donati ai musei francesi da chi amministrava la colonia senza il consenso del legittimo proprietario e i beni trafugati durante le esplorazioni scientifiche a meno che non abbiano avuto il consenso del possessore originario.
Le stime del rapporto Savoy-Sarr
Secondo quanto riportato da Alain Godonou dell’African Heritage School durante il forum UNESCO sulla memoria e l’universalità del 2007, i 90% del patrimonio dell’Africa Sub-sahariana è fuori dal continente (fonte Savoy-Sarr).
Si stima che l’ammontare del patrimonio equivale a 90 mila oggetti conservati in vari musei francesi e la maggior parte conservati presso il museo Quai Branly di Parigi.
Basti pensare ai tesori del palazzo imperiale di Seku in Mali, alle pitture cristiane etiopi oppure ai tesori e leoni antropomorfi del Regno di Dahomey nel Benin. Il report inoltre menziona la restituzione dell’Italia della Stele di Axum sottratta all’Etiopia nel 1937 durante il periodo fascista e riportato al suo luogo d’origine nel 2009, non senza polemiche, dopo 62 anni.
C’è chi dice sì e c’è chi dice no
Sul sito modernghana.com, il funzionario delle Nazioni Unite Kwame Opoku ha pubblicato dopo il 2008 più di 250 articoli ben documentati sull’argomento. In Etiopia, l’associazione Afromet (Association for the Return of the Magdala Ethiopian Treasures) si batte per la restituzione dei beni culturali saccheggiati dall’esercito britannico a Magdala nel 1868. Quindi una certa sensibilità verso questo argomento è sentito anche in Africa e non è un dibattito semplicemente europeo. Non di meno, anche personalità che detengono collezioni private hanno già iniziato un processo di ricollocazione di alcune opere ai musei dei paesi di origine; come il collezionista olandese Jan Baptist Bedaux, in trattativa per restituire i beni da lui collezionati presso il Museo Nazionale del Mali a Bamako.
Altri esempi sono la collezione scozzese della famiglia Mulholland sempre verso Bamako e del britannico Mark Walker erede di alcuni bronzi saccheggiati dal nonno durante una spedizione a Benini City del 1897.
Les statues meurent aussi
Quand les hommes sont morts,
ils rentrent dans l’histoire.
Quand les statues sont mortes,
elles rentrent dans l’art.
Cette botanique de la mort,
c’est ce que nous appelons la Culture.
Anche le statue muoiono
Quando gli uomini muoiono,
essi rientrano nella storia.
Quando le statue sono morte,
esse rientrano rientrano nell’arte.
Questa botanica della morte,
è ciò che noi chiamiamo Cultura.
Chris Marker et Alain Resnais
Il poeta nigeriano Niyi Osundare di lingua Yoruba, in un suo componimento interrogò la luna e le stagioni nel poema “Africa’s memory” evidenziando come solo un poeta può fare, l’evidente assenza di un passato strappato dalle proprie mani. Interpellare la luna è l’unica cosa rimasta intatta dopo i saccheggi perpetrati ai danni della sua gente.
I ask for Oluyenyetuye bronze of Ife.
The moon says it is in Bonn.
I ask for Ogidigbonyingboyin mask of Benin.
The moon says it is in London.
I ask for Dinkowawa stool of Ashanti.
The moon says it is in Paris.
I ask for Togongorewa bust of Zimbabwe.
The moon says it is in New York.
I ask.
I ask.
I ask for the memory of Africa.
The seasons say it is blowing in the wind.
The hunchback cannot hide his burden.
Ho cercato il bronzo di Oluyenyetuye di Ife.
La luna dice che è a Bonn.
Ho cercato la maschera di Ogidigbonyingboyin del Benin.
la luna dice che è a Londra.
Ho cercato lo sgabello di Dinkowawa di Ashanti.
La luna dice che è a Parigi.
Ho cercato il busto di Togongorewa dello Zimbabwe.
La luna dice che è a New York.
Ho cercato.
Ho cercato.
Ho cercato la memoria dell’Africa.
Le stagioni dicono che sta soffiando nel vento.
Un gobbo non può nascondere il suo fardello
Niyi Osundare
D’altro canto molte persone, comprese alcuni esperti in conservazione di opere artistiche e beni archeologici sono restii nel ritenere che i paesi africani possano essere capaci di conservare dei manufatti antichi con un alto valore storico e scientifico.
Tra questi il noto artista beninese Romuald Hazoumé in un’intervista al canale France24 dice di essere contro la restituzione di opere e manufatti antichi a causa dell’instabilità della politica africana e alla facilità nel subire colpi di Stato.
Il ritorno in patria di questi oggetti per un africano è la consapevolezza che la propria storia non parte dai tempi del colonialismo ma prima.
Di questo avviso è la franco-beninese Marie-Cecile Zinsou, che si sta battendo, appoggiata dal Presidente Beninese Patrice Tallon, perché vengano riconsegnati i manufatti conservati nei musei francesi. Infatti il Benin è stato il primo paese sub-sahariano a fare una richiesta formale per la restituzione del patrimonio sottratto negli anni del colonialismo.
Ci si aspetta che l’annuncio fatto due anni fa dal presidente francese a Ouagadougou avrà seguito o semplicemente, rimarrà una boutade come tante altre per raccogliere consensi e applausi in un paese colonizzato come lo è stato il Burkina Faso. Lui ha promesso la realizzazione del progetto entro cinque anni, il report di Bénédicte Savoy e Felwine Sarr stimano un percorso lungo sei anni e solo per rendere le cose possibili a livello giuridico e normativo.
Riusciranno gli africani a rivedere tesori come quelli sottratti dal generale Dodds nel palazzo di Bahanzin nel 1892?

Forse tra qualche anno un bollettino errante ce lo ricorderà.

Bogotà dimostra volontà di cambiamento con una nuova “Alcaldesa de Bogotà”
Non ci sono dubbi. Quando Bogotà sceglie il suo sindaco sa come stupire il mondo. Il 27 ottobre 2019 i cittadini della capitale colombiana hanno votato una donna di 49 anni del partito progressista “Alleanza verde” con la fama di “incorruttibile” e compagna della senatrice dello stesso partito Angelica Lozano.
Claudia Lopez, questo il suo nome, ha basato la campagna elettorale sulla lotta alla corruzione, e su una città che punta all’ecologia e all’inclusione sociale con la volontà di garantire un’istruzione pubblica di qualità.
La nuova “alcaldesa” (sindaco) Claudia Lopez a differenza della stragrande maggioranza dei politici colombiani proviene da una famiglia modesta e laureatasi a Bogotà e poi negli Stati Uniti, nei primi anni 2000 è diventata nota per delle inchieste che rivelarono i collegamenti tra la politica, i gruppi paramilitari e i narcotrafficanti.
Il risultato fu che subì diverse minacce di morte e dovette rifugiarsi negli Stati Uniti per un po’, per poi tornare nel 2014 per essere eletta in parlamento come senatrice.
Nel suo discorso a seguito della vittoria dice:
“Bogotà ha scelto una donna e ha scelto un futuro libero dal maschilismo, dal razzismo, dal classismo, dall’omofobia e dalla xenofobia”.
Ha promesso che farà di tutto per la lotta al lavoro minorile e promuoverà aiuti occupazionali per persone con più d 45 anni e garantirà i diritti delle minoranze.
Dovrà cimentarsi nel governare una città il cui paese affronta le difficoltà derivanti dall’accordo che ha portato a una fragile pacificazione con le Farc che si è trasformato in partito e che denuncia l’uccisione di centinaia di guerriglieri e parenti degli ex ribelli da quando è stato siglato l’accordo.
I precedenti di Bogotà e l’eredità di Antanas
La capitale della Colombia ha già avuto dei precedenti in questo senso. Ha già votato nel 1995, per due mandati, un sindaco sui generis.
Si chiama Antanas Mockus ed è il signore con gli occhiali che si può vedere alle spalle di Claudia Lopez nel video proposto sopra.

Mockus, prima di diventare sindaco di Bogotà era diventato mio idolo quando lessi le sue imprese in campo universitario nella carica di rettore dell’Università Nazionale della Colombia. Durante una conferenza aveva cercato di attirare l’attenzione di alcuni studenti chiassosi tirandosi giù i pantaloni e mostrandogli le parti oscure della sua luna…
Dopo un po’ si candidò a sindaco di Bogotà promettendo di alzare le tasse e presentandosi come uomo fuori dai giochi partitici.
Il suo modo di fare poco consuetudinario si addiceva a una città per molti versi difficile, caotica e violenta.
Un esercito di clown
Uno dei più grandi problemi della città era rappresentato dal traffico e dal comportamento piratesco degli autisti che causavano migliaia di incidenti all’anno e altrettanti morti per le strade.
La soluzione geniale del professore fu non quella di assumere più agenti del traffico, più telecamere per la sorveglianza, più multe, no; decise di sguinzagliare un esercito di clown che andassero nei punti nevralgici del traffico cittadino facendo il verso o mimando a chi trasgrediva le regole oppure equipaggiando i cittadini con delle palette con pollice in su verde o pollice verso rosso per evidenziare buone o cattive azioni da parte di pedoni e automobilisti. Lo scopo era quello di mettere in ridicolo comportamenti che trasgredivano le regole ridicolizzando chi era al volante e facendolo vergognare di fronte agli altri.
L’altra mossa fu quella di apporre delle stelle in quei punti in cui erano avvenuti incidenti mortali, in modo da evidenziare il danno enorme che un cattivo comportamento può provocare alle altre persone. Gli incidenti e di conseguenza anche le morti sulla strada si dimezzarono e tutto ciò senza l’istituzione di nuove norme né con l’uso della coercizione e dell’autoritarismo.
La notte abbiamo paura di uscire da sole
Una collega del prof. Mockus, in occazione di un incontro pubblico, fece notare al sindaco che per lei era molto difficile uscire di sera al buio e preferiva starsene a casa piuttosto che rischiare una violenza o peggio la vita. Fu così che decise di istituire le “notti delle donne”, una sorta di coprifuoco per soli maschi, che avevano l’obbligo di rimanere a casa, compresi i poliziotti di sesso maschile.
Il centro, per l’occasione veniva liberato dal traffico delle auto e reso interamente pedonale e le donne potevano uscire liberamente e senza il rischio di subire brutte sorprese. Ricordo che stiamo parlando degli anni che vanno dal ’95 al 2003.
Un mondo con più tasse
Considerate un paese che ha una scarsissima propensione nel voler pagare le tasse, ci vuole poco a farlo; e poi tentate di trovare una soluzione al problema senza dire “è impossibile, non accadrà mai”.
Il sindaco in questo caso si inventò l’imposta volontaria. Si, proprio così, un’imposta che era lo stesso cittadino a decidere di dare all’amministrazione locale. In poche parole lo scopo era quello di incentivare la decisione volontaria del cittadino nel pagare le tasse coinvolgendolo in un progetto che gli sarebbe interessato in prima persona. Se in un quartiere bisognava aggiustare una strada, veniva proposto alla cittadinanza di quella strada di pagare una tassa ulteriore per fare in modo che il progetto di riqualificazione si facesse con il principio “do ut des”; se tu paghi la tassa per riqualificare il parco lo fai perché a lavori finiti la tua casa aumenterà di valore e ci sarà un ambiente più vivibile. Stai investendo nel posto in cui vivrai per i prossimi anni.
Tutti questi problemi risolti senza l’aiuto di leggi, spese esorbitanti o metodi coercitivi o repressivi. Ci vuole coraggio e un tocco di follia a volte.