(Un prequel travestito da spin-off)
ra una sera come tante, qui, alla Taverna.
Fumo di brace, odore di bruciato, imprecazioni provenienti da dietro il bancone, cori, accenni di risse. Forse appena più tranquilla delle altre sere, a dire il vero.
Clodoveo aveva scampanato per l’ultimo giro, “o la campana ve la suono in testa” aveva aggiunto, e prese a soffiare sui lumi per lasciare il posto al primo e timido chiarore dell’alba. Stava per spegnere le candele dell’insegna, quando qualcosa sbucò dalla boscaglia provocandogli un grosso spavento e, di conseguenza, provocandosi, il qualcosa intendo, un grosso occhio nero.
Sì, perché aveva un occhio, forse anche due, non era qualcosa, era un essere.
Umano, per di più, come potè constatare Clod aiutandolo a rialzarsi, e proprio uno di quelli goffamente bardati di fronzoli e ricami dalla testa ai piedi. Insomma un messo reale. Anzi, il messo reale: Mausolo del Ficodindia.
-Cosa ci fai in giro a quest’ora della… Bè, a quest’ora? Non dovresti stare con il re e provare a metterlo a letto? Poi sai che non dorme e mette il broncio per tutto il giorno – gli disse Clod tamponandogli lo zigomo con uno straccio.
Mausolo si sistemò la bardatura luccicante, teneva stretto lo straccio sulla guancia:
–Caro Clod, sai bene che i capricci di Pidaar il Molesto… – prese a dire.
– …sempre sia denominato!
– Sempre! …Sono improvvisi e per lo più impossibili da soddisfare!
– Già, come no. Su entra, chè l’aria del mattino è gelida e mi si stanno congelando i peli delle orecchie – disse Clod spingendo le porte a ventaglio.
– Ti ringrazio ma non posso trattenermi, Clod. Ho l’ordine di riferirti che il Re e il suo seguito stanno per arrivare per celebrare un avvenimento molto speciale.
-E sarebbe? – chiese Clod interdetto.
-Non lo ha detto a nessuno. Continua solo a ripetere “presto ché bisogna festeggiare, forza ché fa d’uopo celebrare“, percorrendo corridoi e stanze del palazzo da una buona ora – rispose Mausolo esasperato.
– Non è che per caso c’entra quella gente accampata sulla collina?
– Penso che potrà risponderti il re in persona. Li senti i cori? Sta attraversando il bosco. Presto, prepara un tavolo per dodici!
“Presto, che bisogna festeggiare! Forza, ché fa d’uopo celebrare!”
La cantilena si sentiva arrivare dall’altra parte del ponticello, dapprima indistinta, poi sempre più marcata. Al travolgente entusiasmo del corifeo corrispondeva un’assonnata risposta del coro, che si sarebbe volentieri risparmiato quella gita in piena notte.
Clodoveo spingeva fuori gli ultimi clienti come un pastore che spinge le pecore fuori dal recinto:
– Tè! Tè! Tornate a casa, pecoroni! Almeno voi che potete! La sala è riservata per il resto della nottata! Il re ha deciso che oggi si scavalla fregandosene alla grande di sole, luna e tutto il girarrosto! Tè! Tè! Viaaaaa!
Pidaar il Cavaliere arrivò, come al solito, in sella al suo montone, aprendo il piccolo corteo sonnolento.
– Ave a te, o mio taverniere di fiducia, – disse – nonché l’unico nel raggio di passi e balzi da qui.
– Ringrazio la Vostra Avvenente Maestà per farmelo notare in ogni occasione. Per me è un onore accogliervi nella mia modesta bettola, seppur privilegiata dalla sua presenza.
Clodoveo si prostrò in un inchino tanto articolato e pomposo da sembrare una presa in giro, e forse lo era davvero.
Ma il sovrano non se ne ravvide, o non lo capì.
A uno a una, re e cortigiani entrarono nell’osteria. Apriva Pidaar, seguito da Mafalda, Cicciomede, Andreina del Sabello, Barone della Lupa, N’Dò, Sir Vinx, Lord Fable, Edgardo, ovviamente Mausolo e il sottoscritto, Euforbio.
– Ecco il vostro tavolo per dodici – gli disse Clod.
– Tredici! – disse una voce proveniente dalle scale, seguita di lì a poco dalla possente figura di Morgana, – Mi avete svegliata e adesso mi tenete! – concluse sedendosi per prima.
Il re aggiunse un “Presto, che bisogna festeggiare! Forza, ché fa d’uopo celebrare!” e si attaccò alla prima brocca del vino che trovò sul tavolo.
– Questo – disse Pidaar biascicando dopo la sesta portata e l’ottavo boccale – questo, è il modo in cui voglio mi ricordiate in futuro.
Di colpo nella sala calò un silenzio ronzante, che probabile risultato dello sforzo un cervello quando prova a rimettersi in funzione, ma litri d’alcol e chili di zuppa di ceci glielo impediscono con ostinazione.
In quel momento, in effetti, i convitati ricordarono di essere lì per un motivo, il motivo per cui bisognava gozzovigliare così tanto, ma che poi non era proprio chiaro quale fosse questo motivo?
Eppure c’era.
Il re se n’era ricordato e il ronzio lo aveva ricordato a tutti. L’attenzione delle commensali era tutta per il sovrano, che stava provando a drizzarsi sulla panca con l’aiuto dello scimmione N’Dò, a costo di immani sforzi, poiché si era ubriacato pure lui mangiando la frutta fermentata che aveva trovato nella cesta degli scarti destinati alle galline.
– Un giorno non ci sarò più, ma è così che voglio mi ricordiate.
Il re diede un occhiata intorno cercando di mettere a fuoco i volti uno per uno, senza, per altro, riuscirci.
– Cosa? Che giorno? – chiese Mafalda con il suo solito accoramento.
– Domani – rispose Pidaar sorridendo al soffitto.
– Come sarebbe a dire, Vostra maestà? – chiesero in coro Fable e Vinx che non avevano toccato nulla, a parte il solito succo di mele.
– Da domani non ci sarò più, ma per voi sta iniziando una nuova epoca di gioia e benessere. – fece una pausa per non perdere l’equilibro. – Da domani non avrete più bisogno di me – concluse cadendo dalla panca.
– Perché? Quand’è che avremmo avuto bisogno di te? – chiese Morgana prima di azzannare una coscia di un volatile dalle dimensioni inconsuete.
Sulla sala calò un silenzio imbarazzato. Cessò anche il ronzio.
Mausolo scattò sull’attenti, paonazzo quanto la sua divisa.
Pidaar fissò Morgana, o almeno ci provò strizzando gli occhi come due arance da spremuta, e scoppiò in una fragorosa risata convulsa.
I commensali gli fecero eco e le risate risvegliarono il villaggio meglio di quanto avessero potuto fare tutti i galli del paese, che si stizzirono per l’affronto.
Lord Fable e Sir Vinx, da attenti, puntigliosi e talvolta pedanti consiglieri quali erano, si avvicinarono a Pidaar e lo sollevarono per le ascelle:
– Avanti Vostra Maestà! E’ tempo di rientrare a palazzo – disse uno.
– I vostri ospiti vi aspettano con ansia – aggiunse l’altro.
– Che cos’è questa storia? – mi chiese Clodoveo in disparte.
– Non ne ho idea Clod – risposi confuso. Cercai lo sguardo di Morgana, Mafalda e gli altri, ma ricevevo solo occhi incrociati ed esalazioni accompagnate da rumorosi flati.
– Mausolo, tu sai di cosa stesse parlando il re? – chiesi al messo.
– Lo sai com’è fatto, no? – rispose scrollando le spalle – Appena alza un po’ il gomito comincia a delirare e… Mausolo fu interrotto dal richiamo dei Consiglieri, che avevano, non so come, già fatto salire il re in groppa al montone.
Ordinarono al messo di condurlo fino al palazzo. Mausolo obbedì di gran lena. Consegnò a Clodoveo una saccoccia di cuoio e raggiunse l’uscita dove lo attendevano le briglie del montone.
La carovana, non più tanto compatta come era arrivata, si allontanò dalla Taverna in ordine sparso, a parte Morgana, che abitava nella Torretta lì accanto.
Gli ultimi ad uscire prima di me furono il Barone e Cicciomede, che gli ronfava beatamente sulle spalle.
– Lo riporto io al suo Tugurio – disse il Barone e sparì.
Dopo aver salutato Clodoveo, andai via anch’io, brillo ma pensieroso.
C’era qualcosa di strano in quello che aveva detto Pidaar quella sera, pardon, mattina. E Pidaar era tipo da dire cose strane in quantità. Solo che quella suonava parecchio bizzarra.
Provai a riflettere sulla faccenda tornando a casa. Riflettei così tanto che mi parve di sentire di nuovo quel ronzio, segno che, forse, avevo riflettuto troppo e senza profitto.
Dormii per tutto il giorno e, quando tornai alla Taverna l’indomani sera, trovai un grumo di persone davanti all’ingresso e di nuovo quel ronzio.
– Che succede? – chiesi un po’ a chiunque.
– Pidaar – rispose la voce piena di rancore di Clod dal centro del grumo – Il re è sparito.
– …e mi ha fatto pagare la cena di ieri con un pugno di carbone – concluse.
continua…
Testo e storia: Francesco Di Concilio
Segni e disegni: Ivo Guderzo
Web & real editor: Francesco PennaNera