Non si può dire che sia semplice dar sfogo alle proteste se ci si trova in Cina. Le migliaia di telecamere di sorveglianza e la Muraglia del “Great Firewall of China” ha dato prova della sua pervasività ed efficacia nei confronti di chi dissente (ne abbiamo parlato nel Bollettino Errante n.5).
Però ad Hong Kong le proteste si sono protratte per molto tempo e le autorità hanno avuto difficoltà a capire i movimenti dei gruppi in protesta. Qualcuno potrebbe dire che è impossibile sfuggire alla censura e ai black-out continui di internet per ostacolare la diffusione delle notizie, eppure in una delle regioni asiatiche più densamente popolate del pianeta, le cose sono andate diversamente. Ciò che è successo in diverse parti del pianeta (Libano, Iraq, Colombia, Cile, Algeria, Egitto) si è ripetuto nelle medesime condizioni. L’aumento delle proteste è coinciso con l’oscuramento dei social, l’impossibilità di usare app di chat come whatsapp, WeChat per i cinesi, o con il completo spegnimento della rete internet. Allora come hanno fatto i cittadini di Hong Kong a coordinarsi e a darsi man forte contro lo strapotere delle forze dell’ordine e delle autorità filo cinesi?