Bollettino Errante n.10

Bollettino Errante n.10

Devono andarsene dalla porta o dalla finestra

Il 20 dicembre 2019, France Telecom è stata condannata da un tribunale di Parigi per mobbing istituzionale, prima sentenza in assoluto in Francia in questa materia.

La sentenza descrive la responsabilità di France Telecom e del suo management nell’aver provocato il suicidio di diciannove dipendenti e il tentato suicidio di persone alle dipendenze della società, oltre che di casi di depressione non del tutto accertati a causa della reticenza da parte delle vittime.

La strategia dell’ansia

Tra il 2007 e il 2010 France Telecom ha portato avanti i piani Next e Act, tesi alla fuoruscita di 22mila persone e alla mobilità di 10mila su un ammontare totale di 120mila dipendenti.

Secondo il tribunale, i dirigenti hanno fatto pressione sui quadri affinché raggiungessero le quote di licenziamento entro i tre anni stabiliti. Se non avessero assolto al compito avrebbero subito tagli consistenti in busta paga. Secondo le testimonianze emerse durante il dibattimento, il presidente Didier Lombard avrebbe detto: “Devono andarsene dalla porta o dalla finestra”. Alcuni di loro hanno deciso la finestra.

Questo tipo di strategia, secondo i giudici, ha generato un clima ansiogeno all’interno dell’azienda. Le modalità scelte per effettuare gli esuberi sono vietate e hanno alimentato la pressione all’interno dell’ambiente di lavoro.

Il mobbing fa sì che la responsabilità e le colpe passino in modo subdolo al lavoratore che, non avendo nessuna colpa e non capendo il perché tutto stia andando a rotoli, entra in una spirale di depressione. Quest’ultima, a propria volta, non fa che aumentare la competizione all’interno dell’ambiente lavorativo e incrementare comportamenti individualisti ed egoistici all’interno di un ambiente che dovrebbe essere collaborativo.

Anche se tutte le colpe vengono fatte ricadere sul lavoratore, il singolo impiegato non potrà di certo incidere con i propri sforzi sulle prestazioni di una compagnia di dimensioni così grandi come lo era France Telecom.

Le condanne

Il tribunale di Parigi ha condannato quindi con il massimo della pena Didier Lombard, presidente, il suo braccio destro Louis Pierre Wenes e l’ex responsabile delle risorse umane Olivier Barberot.

Gli altri imputati coinvolti nel processo sono stati condannati per complicità in molestie morali e istituzionali.

Ci sono voluti 10 anni per ottenere il verdetto finale, dopo le testimonianze dei parenti e delle vittime.

Didier Lombard ha negato di aver mai proferito le parole a lui attribuite e, d’altra parte, che non avrebbe potuto fare diversamente da come ha agito in quei frangenti. Potendo tornare indietro, ha sostenuto, avrebbe agito nello stesso modo perché è così che vanno le cose.

Conseguenze non sempre positive

La sentenza a favore dei lavoratori però sembra non aver sortito vantaggi di sorta per i francesi. Secondo molti giuristi e sindacalisti, le politiche del Presidente francese Macron hanno ridotto il potere del comitato per la salute, la sicurezza e le condizioni di lavoro e hanno reso più difficile il lavoro dell’ispettorato del lavoro.

Le giustificazioni a tali comportamenti immorali e controproducenti sono sempre le stessa: non si poteva fare diversamente, sono le regole del mercato, se non lo avessi fatto io lo avrebbe fatto un altro al mio stesso posto, e così via.

Senza scomodare esempi lontani da noi, sarebbe meglio far capire a chi ha in mano le redini di una qualsiasi organizzazione, che sia un’azienda o un’ente pubblico o una no-profit, che il valore massimo al quale ambire non è quello del premio che si ottiene raggiungendo un obiettivo, ma è la creazione di un’ambiente sano e profittevole per il bene di tutti nel lungo periodo.

Per chi avesse volontà di approfondire le vicende che hanno segnato le sorti del processo e delle vittime, può trovare un database di articoli sull’argomento sul sito creato dal sindacato Union syndacale Solidaires.

Approfondimenti

MEDIAPART – Après France Télécom: de nouveaux droits pour la santé au travail et l’environnement

Dalloz actualité – De la causalité dans les procès pénaux AZF et France Télécom

Le Monde – Suicides à France Télécom: des dirigeants menacés de poursuites pour harcèlement moral


L’Angola derubata

Le cose successe nel 2020, Covid a parte, non sembrano esser state molte. Almeno stando alle prime pagine di tutte le testate giornalistiche.

Agli inizi dello scorso anno il Consorzio internazionale del giornalismo investigativo (ICIJ) ha rivelato uno scandalo finanziario che ha coinvolto un paese diverso dal solito, l’Angola.

Un team composto da giornalisti di diverse testate tra cui New York Times, BBC e le Monde hanno passato diversi giorni ad investigare su oltre 700 mila documenti che attestano l’enorme quantità di denaro fuoriusciti dall’Angola verso paradisi fiscali e compagnie di comodo.

L’indagine dimostra come la figlia dell’ex presidente del paese Isabel Dos Santos e suo marito Sindika Dokolo abbiano accumulato un patrimonio di quasi 2 miliardi di dollari, sfruttando i privilegi e i vantaggi derivanti dal governo presieduto dal padre da quasi quarant’anni.

Il paese, ex colonia portoghese, è tra i più corrotti e poveri al mondo, con un tasso di vita che non va oltre i sessant’anni. Ciò nonostante è tra i maggiori produttori di petrolio e diamanti del continente africano.

Il consorzio (ICIJ) ha pubblicato documenti e prove di decenni di operazioni commerciali e finanziarie tese a comprare proprietà immobiliari, aziende e asset fuori dal paese per nasconderlo alle autorità fiscali e ai magistrati del paese.

Per anni Sanangol, la compagnia petrolifera statale presieduta da Isabel Dos Santos, ha ricevuto da parte del governo contratti pubblici, licenze in ambito di telecomunicazione, diritti per l’estrazione di diamanti e agevolazioni fiscali.

Non solo. I documenti dimostrano che l’impero della donna più ricca d’Africa comprende un arcipelago di 400 imprese ubicate in 41 paesi, delle quali 94 in località offshore. Queste hanno ottenuto, nel corso del governo di Josè Eduardo Dos Santos, innumerevoli contratti di consulenza, prestiti e appalti per miliardi di dollari dal governo angolano.

Con l’elezione del nuovo presidente nel 2017, Isabel Dos Santos ha perso l’incarico e prima di andare via ha trasferito 38mln di dollari in una associata di Dubai.

Dos Santos ha definito le accuse nei suoi confronti e del marito persecuzioni politiche dovute al cambio di governo nel paese.

L’inchiesta dell’ICIJ ha dimostrato che le élite del continente africano sanno come gestire le regole del mercato finanziario globalizzato: si servono di grandi società di revisione e di grandi banche occidentali.

Isabel Dos Santos ha saputo sfruttare con caparbietà la ricostruzione del paese a seguito della guerra civile (1975-2002) capitalizzando i proventi derivanti dalla vendita del petrolio e dalla quantità enorme di prestiti provenienti dalla Cina e dirottando immense fortune altrove, disperdendoli in innumerevoli rivoli difficilmente rintracciabili.

Autore: PennaNera