Los Caprichos

L’opera d’arte come atto politico

“Cinque”

La sua vita e le sue opere, permeate di inquietudine, sono lo specchio di una crisi. La crisi di chi, vissuto sul crinale di due secoli, percepiva il fallimento di un’epoca storica, ma allo stesso tempo avvertiva l’urgenza di un rinnovamento radicale, nella società come nell’arte. È proprio per questa ragione che Francisco Josè de Goya y Lucientes (1746-1828), o più semplicemente Francisco Goya, è spesso definito l’”ultimo dei grandi maestri” e il “primo dei moderni”.

F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 1, Autoritratto
F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 1, Autoritratto

Suo padre era un artigiano, sua madre incarnava una delle contraddizioni della Spagna del tempo. Era infatti una contadina, anche se discendente dell’aristocrazia minima di Aragona (nella Spagna borbonica esistevano nobili con titoli, ma senza ricchezze!). Non sappiamo nulla dei primi decenni della sua vita, se non che aveva un carattere piuttosto turbolento: lo confessa lui stesso in una lettera all’amico mercante Martìn Zapater.

Il suo talento, inconsueto e originale, non ebbe approvazione immediata. Negli anni Sessanta del Settecento tentò per ben due volte di entrare alla Real Academia, senza riuscirci. I primi successi arrivarono dopo un soggiorno in Italia, che si svolse tra il 1770 e il 1771, e che fu fondamentale per la sua maturazione. Da questo momento in poi, la scalata sociale di Goya fu rapidissima: chiamato a Madrid dal giovane Anton Raphael Mengs come curatore dell’arazzeria reale, divenne nel 1786 pittore del re e nel 1789 della casa reale.

F. Goya, El entierro de la sardina, 1812-1819, Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando
F. Goya, El entierro de la sardina, 1812-1819, Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando

Se il 1789 segnò per Goya l’apice della carriera e il pieno riconoscimento da parte della monarchia spagnola, per la storia dell’umanità fu l’anno della Rivoluzione francese: un evento cruciale, un punto di non ritorno, carico di stravolgimenti politici, sociali e culturali. La stessa Spagna, più arretrata e rigida rispetto agli altri Paesi europei, non riuscì a rimanere indifferente: la Rivoluzione approdò anche qui tra il 1820 e il 1824, in ritardo, e si concluse tragicamente con il ritorno dell’assolutismo.

A questa crisi politica e sociale – che coinvolse l’artista a tal punto da convincerlo nel 1824 a scegliere la via dell’esilio in Francia, dove morì quattro anni dopo – si aggiunse una grave crisi personale. Goya fu colpito nel 1792 da una malattia, che lo portò quasi alla morte e che lo rese sordo. Proprio in questi anni il suo stile mutò profondamente: il rococò venne abbandonato a vantaggio di un linguaggio più moderno, quasi romantico. Cambiarono anche i soggetti della sua pittura: l’artista si concentrò sugli usi e i costumi del popolo spagnolo, riflettendo sulle sue profonde contraddizioni.

F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 24, No hubo remedio
F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 24, No hubo remedio

È in questo contesto che vide la luce il capolavoro grafico di Francisco Goya, espressione del suo universo immaginario, critico e artistico: Los Caprichos. Una raccolta di ottanta stampe ad acquaforte e acquatinta, pubblicata il 6 febbraio 1799 al prezzo di 4 reales per foglio. Si trattò di un’operazione coraggiosa e, senza dubbio, politica: le incisioni, realizzate tra il 1796 e il 1798, erano una critica forte alla società spagnola dell’epoca. Critica alla cattiva educazione, all’ignoranza e alla superstizione. Critica al parassitismo delle classi sociali privilegiate, in particolare dell’aristocrazia ereditaria. Critica audace al clero e ai metodi brutali dell’Inquisizione.

L’opera suscitò subito grande scalpore: fece sensazione in Francia e fu bruciata per le strade in Inghilterra da John Ruskin. Nonostante Goya avesse dichiarato di voler rappresentare nella sua opera vizi e difetti dell’intera umanità, alcune tavole erano evidenti riferimenti a vicende o personaggi della corte e della società spagnola. Le stampe furono ritirate dalla circolazione, probabilmente in seguito a minacce da parte dell’Inquisizione, e nel 1803 le loro matrici furono vendute da Goya stesso alla Calcografia reale, in cambio di una pensione per il figlio.

F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 39, Asta su Abuelo
F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 39, Asta su Abuelo
F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 67, Aguarda que te unten
F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 67, Aguarda que te unten

Tecnicamente, Los Caprichos sono qualcosa di eccezionale. L’artista mostra una grande maturità tecnica e compositiva. Le scene, definite da un efficace e drammatico chiaroscuro, hanno un’impostazione fortemente innovativa. Le immagini sono violente, grottesche, inquietanti, esaltazione della libertà espressiva dell’artista e del suo interesse per l’irrazionale, la follia, il sogno.

F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 43, El sueño de la razon produce monstruos
F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 43, El sueño de la razon produce monstruos

Le tavole più disturbanti sono senza dubbio quelle legate alla stregoneria. Nonostante l’Illuminismo, e con esso la fiducia nella scienza e nella ragione, fosse ormai approdato anche in Spagna, superstizione e tradizione avevano la meglio su gran parte della popolazione. Molti credevano ancora nell’esistenza di streghe e stregoni, che l’Inquisizione aveva il compito di individuare e sconfiggere.

Simbolo di tutta la raccolta è la tavola 43, intitolata El sueño de la razon produce monstruos (Il sonno della ragione genera mostri). Nel progetto originario dell’artista, questa immagine doveva essere la copertina dell’intera raccolta. Rappresenta l’artista addormentato, con la testa appoggiata sul piano di un tavolo. Intorno a lui si affollano pipistrelli, civette, asini, felini. Questi animali simboleggiano le allucinazioni di chi rifiuta la ragione, cedendo alle passioni irrazionali e ai sogni. Fondamentale per la comprensione non solo dell’immagine, ma dello scopo di tutta la raccolta, è la didascalia che accompagna la stampa: “L’artista sogna. Il suo unico scopo è sconfiggere credenze volgari e dannose e perpetuare grazie a questa raccolta di capricci la solida testimonianza della verità”.

F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 80, Ya es hora
F. Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 80, Ya es hora

Condannati e trascurati dai contemporanei per loro immoralità, Los Caprichos divennero, a  partire dalla seconda metà dell’Ottocento, una delle opere più amate e studiate di tutta la produzione di Francisco Goya. La potenza e la drammaticità di queste immagini hanno affascinato generazioni di storici dell’arte, e non solo. Tra le interpretazioni più affascinanti, merita una menzione il commento dello psichiatra e critico letterario svizzero Jean Starobinski:

La modernità di Goya risiede in questo rinnovamento azzardato che lo conduce verso un universo ignoto, destinato allo scontro terrificante tra possibile e impossibile; risiede nella soluzione, che fece sua, di affrontare il dolore del momento storico con tutte le risorse della sua sensibilità e della sua arte.

(J. Starbinski, Goya, Milano 2003)
Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 43, El sueño de la razon produce monstruos, dettaglio
Goya, Los Caprichos, 1799 – Tavola 43, El sueño de la razon produce monstruos, dettaglio

È sempre da attribuire a Starobinski un interessante confronto tra Francisco Goya e Ludwig van Beethoven: i due condividono non solo l’appartenenza alla stessa epoca storica, ma anche un destino e un’evoluzione stilistica molto simili. Divenuti entrambi sordi,

racchiusi nella solitudine, molto avanti in confronto a ogni linguaggio preesistente, sviluppano nella loro produzione un mondo autonomo, con mezzi che l’immaginazione, la volontà e una specie di furore inventivo non smettono di arricchire e modificare.

(J. Starobinski, Goya, Milano 2003)

Autrice: Martina Colombi
Cover design: Valerio Ichikon Salzano

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