L’opera d’arte come atto politico
“Sei”

E se un danno a un’opera d’arte diventasse una questione politica? Un fatto così significativo, da convincere il proprietario dell’opera non solo a rifiutarsi di restaurarla, ma addirittura a considerare il guasto un plusvalore?

Non poteva assolutamente prevederlo Giuseppe Molteni (Affori, 1800 – Milano, 1867) quando nel 1844 dipinse La figlia del guardiano del castello,su commissione del giovanissimo conte Giulio Litta Arese (Parigi, 1822 – Vedano al Lambro, 1891). Il pittore aveva in mente non la politica, ma la letteratura. La protagonista del dipinto, infatti, si ispira a uno dei personaggi più amati di un best-seller dell’epoca: I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, il cui successo stava superando persino i confini nazionali. La popolarità del libro è documentata anche in pittura, nelle opere di celebri artisti dell’epoca, tra cui il noto Francesco Hayez. Hayez era molto amico di Molteni: lo testimonia il suo Autoritratto con amici,conservato al Museo Poldi Pezzoli di Milano.

Negli abiti, nell’acconciatura e nell’espressione della fanciulla rappresentata nel dipinto si riconoscono i tratti di Lucia Mondella, protagonista del romanzo, meravigliosamente descritta da Manzoni nel giorno delle sue nozze:
“lei s’andava schermendo, con quella modestia un po’ guerriera delle contadine, […] aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca s’apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgevan, dietro il capo, in cerchi moltiplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d’argento, che si dividevano all’intorno, quasi a guisa de’ raggi d’un’aureola, come ancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d’oro a filigrana: portava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pieghe fitte e minute […].”

La donna, affascinante per l’espressione malinconica e corrucciata, presenta strette affinità con il Ritratto di Lucia Mondella realizzato l’anno precedente da Eliseo Sala e oggi conservato in una collezione privata.L’opera, tuttavia, non racconta la storia della “promessa sposa” del romanzo, ma rappresenta una castellana: lo suggeriscono non solo il titolo, ma anche l’ambientazione e il pesante mazzo di chiavi che la fanciulla regge con il braccio sinistro. In secondo piano, sulla destra, si intravede un uomo, curvo sotto il peso di un forziere. Il dipinto fu presentato a Brera nel 1844 e immediatamente apprezzato per la maestria esecutiva e per il soggetto rappresentato.

Osservando con attenzione la tela si osserva sulla sinistra, all’altezza della spalla della castellana, un dettaglio decisamente insolito: un ampio foro irregolare, sotto il quale qualcuno ha scritto, in colore rosso, “5 Giornate | Milano 1848”. L’autore dell’iscrizione è molto probabilmente il proprietario del dipinto, Giulio Litta Arese: nato a Parigi nel 1822, era un compositore, un generoso mecenate, ma soprattutto un convinto patriota.

Aderì con convinzione ai moti del 1848, diventando uno dei più stimati e popolari personaggi della Milano risorgimentale e degli anni dell’Unità d’Italia. Durante le Cinque Giornate di Milano (18-22 marzo 1848) degli uomini armati entrarono nell’abitazione del conte; il dipinto venne forato da una pallottola, senza però rimanere del tutto compromesso. Litta interpretò l’evento come un segno. L’opera da quel momento era divenuta ai suoi occhi non solo un capolavoro, ma anche una testimonianza tangibile di quanto stava accadendo. La scelta di non far restaurare il dipinto, ma -anzi!- di sottolineare il danno aggiungendo l’iscrizione, si configura quindi come una precisa, lucidissima e affascinante operazione politica.
Il dipinto, che appartiene ancora oggi alla collezione Litta, è rimasto inedito e sconosciuto fino a due anni fa. Riscoperto in occasione della mostra Romanticismo, organizzata da Gallerie d’Italia (Milano, Piazza della Scala), costituisce oggi un curioso documento storico di uno dei momenti più gloriosi e intensi della storia milanese.
Autrice: Martina Colombi
Cover Design: Valerio Ichikon Salzano
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