Io sono un migrante

Migrante.

Participio presente di Migrare.
Che migra, che si sposta verso nuove sedi.

Vengo dal Sud Italia.
Sono stata una Migrante per la prima volta il 4 ottobre 2010, quando mi sono traferita a Roma per proseguire i miei studi universitari.
Sono stata di nuovo una migrante l’11 ottobre 2016, quando mi sono trasferita nel Regno Unito. Questa volta, a differenza della prima, sapevo che c’era la possibilità che non sarei mai più tornata a vivere stabilmente nel mio Paese, o che comunque le possibilità sarebbero state molto basse. Perché? Perché nonostante la mia alta qualificazione non ho trovato un lavoro in Italia.

Mio padre è stato un migrante. Ha lavorato 10 anni a Vercelli nelle Ferrovie dello Stato, e per cercare casa era costretto ad andare in giro con la divisa da lavoro per essere considerato adatto a prendere in affitto una stanzetta di un appartamento.
Mia mamma è stata una migrante. Si è trasferita in Campania dalla Sicilia a 7 anni, per avere “un futuro splendido”. Le cose non sono andate proprio così, e mi appello alla privacy per non raccontarvi in seguito.
Mia sorella è una migrante: si è trasferita a Milano l’11 Settembre 2011 per ragioni di studio. Ora lavora lì, e anche se vorrebbe tanto tornare nel Sud, la stabilità economica che ha ora non la troverebbe “giù”.
Mohamed (nome di fantasia) è un migrante.
Conosce l’arabo, il francese, l’italiano e l’inglese. E’ laureato in filosofia.
Cosa fa per vivere? Lavora nei campi dalle 2:30 (di mattina) fino alle 4 del pomeriggio, per 20 euro al giorno. Ovviamente in nero.
Taibeh Abbasi è una migrante. I suoi genitori sono stati migranti prima di lei quando si sono trasferiti in Iran, perché in Afghanistan c’era la guerra, c’erano i Talebani, e rischiavano di morire ogni giorno. Taibeh è nata in Iran, ma è dovuta migrare presto in Norvegia, dove ha iniziato ad avere un’istruzione, perché in passato, in Iran, non essendo cittadina di quella nazione, non aveva diritto come le altre ragazze di andare a scuola. Stiamo parlando di scuola dell’obbligo, un diritto inalienabile dell’uomo.
Il suo sogno è quello di diventare un medico.
Il governo norvegese ha deciso che Taibeh e la sua famiglia non hanno diritto allo status di rifugiato, quindi possono essere mandati indietro in Afghanistan, a Kabul, perché, sempre secondo lo stato norvegese, è un posto sicuro. Quello.

Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi

Scritto da: Annarita N.

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