I pianeti invisibili

Un resoconto narrato delle pubblicazioni di Aprile.

Erano passati quasi due anni da quando la ErrareUmano aveva lasciato la superficie della Terra per intraprendere il suo viaggio attraverso la galassia.

La navetta si era staccata dall’astronave madre per attraversare l’atmosfera del primo di un sistema di pianeti che ruotava attorno alla stella April, una gigante rossa al culmine della propria esistenza.

Le esploratrici conobbero un mondo nella sostanza molto simile al nostro, anche se non del tutto. Non esistevano conflitti sanguinosi, l’aria era fresca e salubre, il clima mite, e gli scaffali degli ipermercati traboccavano di merci di tutti i tipi con un settore dedicato a bambini freschi di fabbrica.

Il desiderio, è noto, non è altro che l’ansia di essere lontano dalle stelle, per questo l’equipaggio si rimise in viaggio il prima possibile senza aver acquistato nulla, diretto verso il secondo pianeta del sistema per vicinanza alla sua stella.

Si trattava di Tena, poco più piccolo della Terra, formato da oceani di un liquido oleoso dai colori cangianti e da terraferma a trama fitta, del color dell’avorio. Durante temporali e mareggiate le terre si tingevano di milioni di colori vorticanti che vi rimanevano impressi con la bonaccia. Almeno fino alla prossima tempesta.

Su Ven Beta, terzo pianeta, gli umanoidi che l’abitavano non possedevano organi uditivi. Nonostante ciò componevano delle musiche celestiali che mandavano in estasi i nostri astronauti. Gli autoctoni non potevano capire il motivo di tanto apprezzamento, perché non le sentivano allo stesso modo. Per loro era un modo come un altro per dirsi che si amavano.

Tra l’orbita di Van Beta e Fola, il pianeta successivo, una fascia di asteroidi fluttuanti a forma di nuvole non emettevano alcun rumore, perché nello spazio, si sa, non si sente nulla. I suoni che emettevano erano impressi sulla loro superficie perché li si potesse leggere passando di lì, e per lo più erano rumori buffi, all’apparenza poco adatti per dei pezzi di roccia.

Su Fola i posti erano limitati perché i tavoli erano pochi e li aveva prenotati tutti il re, il quale, dopo aver invitato gli alieni in visita, cioè noi, ad un banchetto di commiato, lasciò il pianeta a bordo di un razzo coperto di lana di montone per non farsi più rivedere. Nessuno pagò il conto e gli abitanti volevano lasciarlo ai nuovi arrivati, che se la batterono sulla navetta più in fretta possibile.

Pensare il lavoro, cambiarlo adesso

Il pianeta 25415, anche l’ultimo del sistema, era di un colore rosso vivo, non ruggine spento come il nostro Marte. I mari ribollivano e la terra, un po’ più scura, tendeva a vomitare un magma nero come il cosmo, da cui gli abitanti si difendevano ergendo di continuo barriere che si scioglievano al contatto. Ma quelli continuavano dandosi il cambio, resistendo di generazione in generazione, perché era il solo modo di sopravvivere.

La ErrareUmano prese il volo promettendo loro di raccontare a tutta la galassia del pianeta e della loro strenua lotta contro le sue tetre viscere.

Riprendendo velocità si allontanò lasciandosi alle spalle l’aura cocente della stella April, una gigante rossa che, dopo aver fagocitato quattro pianeti del sistema, si stava vigliaccamente ritirando verso il suo destino di nana bianca.

Solo uno sbiadito ricordo della stella distruttiva che è stata.

La Redazione
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