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Diario di Bordo - Marzo 2020 - ErrareUmano

Diario di Bordo – Marzo 2020

All’inizio di questo mese ho assistito a un combattimento di galli. Uno rosso contro uno nero. Quello nero era più forte e grande e feroce. Ma quello rosso, per quanto svantaggiato, schivava, sfuggiva, si divincolava. Riusciva persino a dare sfuggenti beccate alle zampe di quello nero, che dovevano fare abbastanza male a giudicare dalle sue strida. Non era affatto semplice fare fuori quel gallo rosso, e il combattimento sembrava dover durare in eterno, anche se la sua sconfitta sembrava imminente. Eppure…

Sono fuggito via, di corsa, per non assistere ancora a quello sfacelo e mi sono ritrovato di fronte a un muro dalle grosse pietre squadrate e levigate. Da una parte e dall’altra, attorno a me, ancora scontri, ancora violenza. Poliziotti dallo sguardo spento e assetato di sangue, pronti a tutto pur di difendere un qualche genere di superiorità morale, avanzavano saggiando il manganello col palmo delle mani. Il sangue che cercavano ribolliva per le troppe umiliazioni e le vessazioni, fino a inondare le strade trascinando ogni cosa, poliziotti compresi.

Ho provato a scavalcare il muro e a fatica mi sono ritrovato dall’altro lato, in un giardino stupendo, un frutteto, se non ricordo male. Ho visto una mimosa esplodere di batuffoli gialli e mi sono ricordato che è primavera, o quasi. In ogni caso, è la rinascita di qualcosa, e la mimosa ne è la prima avvisaglia. Attorno a all’albero, cinque pittrici provavano a coglierne la profonda poesia. “Non è abbastanza”, dicevano scrollando il capo, e continuavano a dipingere perché il colore diventasse voce, una voce che qualcuno, prima o poi, avrebbe potuto ascoltare.

Poi l’aria di colpo si è fatta cupa, nel frutteto. Si è alzata una densa nebbia rosa, che sembrava di respirare zucchero filato, ma dal sapore di funghi. Le voci rimbombavano attenuate da quell’ovatta inconsistente e un signorotto venuto fuori da un quadro rinascimentale spiegava delle cose che nessuno capiva. E le spiegava andando via, seguito da altri due tizi, una cornacchia e un carretto. Nel bosco non c’era più nessuno.

Sotto i miei piedi il terreno era diventato molle, aveva perso consistenza. Mi sembrava di essere sospeso, senza attrito, incapace di andare da nessuna parte. In lontananza, musica che cambiava di continuo, come ad accompagnare quel fluttuare incerto. Volevo andarmene, e di corsa. Ma il fumo attorno si stava addensando e i vapori mefitici diventavano soffocanti. L’eco di tossi croniche mi arrivava da lontano, come in sogno. Avevo perso i sensi, anche se non saprei dire, di preciso, in quale momento. Decisi di stare fermo e rimanere ad ascoltare.

Mi ritrovai dall’altra parte del muro, a camminare per strade deserte e palazzi tinti con cadenza regolare dal blu snervante di luci lampeggianti. Gente che suonava, cantava, si metteva le mani sul petto inneggiando a un’illusione. Sul tetto, un essere ricoperto di bende, barcollando mi puntava il dito contro e diceva: “Sei tu, la causa di tutto!”.

Allora fuggii di nuovo. Era pieno giorno, ormai, il sole alto, il cielo splendido. Cercai l’ombra perché il male, dicono, gira alla luce del sole. Ma non tutte le ombre vengono per dare riparo, e da alcune bisogna difendersi, o ti inghiottono. Così ho attuato quello che mi ha insegnato l’arancio di fronte casa mia: ho provato a mettere radici, ma non come un albero, a terra. Faccio quel che posso, sono solo un uomo. Allora le ho messe nell’aria, ho provato ad arrivare agli altri attraverso l’humus di onde che stanno compostando da decenni.

Ho scoperto luoghi che non conoscevo. Opere d’arte, musica, personaggi che si muovono nonostante l’immobilità apparente. Anche se resti fermo, il movimento continua e mi porta in mezzo al mare, dove un pescatore si maledice per l’eternità per non essersi lasciato andare, trasportato dal canto della sua sirena.

Un viaggio di duecentocinquant’anni in pochi minuti, appena il tempo di contarli, che termina in un canto, un inno a quanto di più bello possa esprimere un essere umano, impaziente, forse troppo, di cantarlo a squarciagola ancora e ancora.

Sono tornato indietro ma i cuscinetti sotto i piedi sono rimasti, e la sospensione pure. Certezze sempre di meno, a parte una piccola, modesta convinzione: non andrà proprio tutto bene se tutto torna uguale a prima. Che dopo questa sospensione ci meritiamo un cambiamento? Che inizi proprio da noi, il cambiamento?

Il tempo di dare l’ultimo saluto a chi riposa per sempre i suoi occhi sognanti sotto un menhir, sono tornato a casa, in attesa che cominci un altro sogno, o un altro viaggio.

Cicciomede da Vaffambaffola
Le autrici e gli autori che hanno contribuito agli articoli e ai disegni di questo mese: Ivo Guderzo, Martina Colombi, Annarita N., Sheila HavziArt, Valerio "Ichikon" Salzano, Pigutin,  Francesco PennaNera, Cicciomede.
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