Quest’anno si celebra il 250° anniversario dalla nascita di Ludwig van Beethoven. Noi di ErrareUmano vogliamo celebrarlo a modo nostro, come meglio sappiamo fare, ovvero attraverso la scrittura. Festeggiamo insieme questo compleanno tramite una delle sue opere più importanti, che ha lasciato un segno indelebile nella nostra cultura: la Sinfonia n. 9 in Re min.
La storia e l’analisi musicale
La Sinfonia No. 9 in Re minore, Op. 125, eseguita per la prima volta il 7 maggio 1824 a Vienna, ma inizia ad essere concepita almeno dieci anni prima, se non nel 1792.
Quest’opera non rappresenta il solo collegamento artistico tra Beethoven e Schiller: infatti, i primi lavori teatrali del poeta e drammaturgo tedesco furono rappresentati a Bonn da una compagnia il cui capocomico alloggiava spesso, insieme alla moglie, presso la casa dei Beethoven, mentre il direttore musicale era stato un insegnante del piccolo Ludwig. Nonostante ciò, Schiller e Beethoven non ebbero mai modo di incontrarsi di persona.
Quest’anno si celebra il 250° anniversario dalla nascita di Ludwig van Beethoven. Noi di ErrareUmano vogliamo celebrarlo a modo nostro, come meglio sappiamo fare, ovvero attraverso la scrittura. Festeggiamo insieme questo compleanno tramite una delle sue opere più importanti, che ha lasciato un segno indelebile nella nostra cultura: la Sinfonia n. 9 in Re min.
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Il personaggio
Vita ed opera dovrebbero essere un tutt’uno. L’opera non può esistere senza un’esperienza, gioiosa o dolorosa, poco importa. Nel caso di Beethoven le vicende personali sono determinanti per la creazione delle sue opere, la più importante è la perdita dell’udito, di cui sarà completamente privo durante la fase di scrittura della Nona.
In primis due elementi essenziali: nasce a Bonn nel 1770 e muore a Vienna nel 1827, vivendo quindi a cavallo tra la Rivoluzione Francese, l’ascesa di Napoleone e la Restaurazione delle monarchie europee.
Quest’anno si celebra il 250° anniversario dalla nascita di Ludwig van Beethoven. Noi di ErrareUmano vogliamo celebrarlo a modo nostro, come meglio sappiamo fare, ovvero attraverso la scrittura. Festeggiamo insieme questo compleanno tramite una delle sue opere più importanti, che ha lasciato un segno indelebile nella nostra cultura: la Sinfonia n. 9 in Re min.
“Le tradizioni orali fanno la loro comparsa quando vengono riferite. Per momenti fugaci possono essere ascoltate, ma il più delle volte esse dimorano nella mente delle persone”.
Jan Vansina, storico belga.
Raccontami una storia, leggimi una storia…
Frasi spesso pronunciate
dalla bocca di bambini, ma cos’è davvero una storia? E soprattutto, ha
importanza la forma della sua trasmissione?
Che sia sottoforma di
scrittura, con inchiostro o digitata su uno schermo, o ancora, che sia
trasmessa oralmente, una storia rappresenta sempre un pezzo di memoria
collettiva.
E se la letteratura non è
nient’altro che una raccolta di storie di vario tipo e genere, anche quelle
trasmesse per via orale possono essere considerati pezzi di letteratura.
Il fascino, però, delle
storie non scritte, ma raccontate, è la loro personalizzazione: chi racconta,
infatti, può aggiungere, o talvolta anche togliere, dei particolari, e se
questo procedimento viene ripetuto all’infinito, si ottiene una nuova storia,
frutto di un lungo processo di stratificazione, frutto di un fenomeno di “lunga
durata”.
Per lungo tempo, la
tradizione orale ha costituito il solo mezzo disponibile per la trasmissione
del sapere collettivo, e comprende diverse forme
letterarie, ad esempio proverbi, ricette, rimedi medicinali, canti, frasi,
leggende…
L’ispirazione
Ed è proprio una leggenda
pugliese del XV secolo al centro della canzone di oggi, ovvero quella di
Cristalda e Pizzomunno.
Siamo a Vieste, in un
tempo non meglio definito, come la tradizione orale e popolare suggerisce.
Pizzomunno è un marinaio e pescatore come ce ne sono tanti; in riva del mare incontra
la bella Cristalda, ed i due s’innamorano subito. Su quella spiaggia si
incontrano e stanno insieme, su quella spiaggia Cristalda aspetta il suo
Pizzomunno tutte le sere.
Quella è una terra
magica, popolata da malvagie sirene,
che con il loro canto e le loro movenze attirano a sé gli altri pescatori, fino
a portarli giù negli abissi del mare per trattenerli sempre a sé.
Pizzomunno era stato
preso di mira da una sirena, ma aveva sempre rifiutato le sue lusinghe, perché
già innamorato di Cristalda.
Si svolge, così, la
vendetta suprema: le altre sirene risalgono dal mare verso la spiaggia e rapiscono
la bella Cristalda per portarla con sé in fondo al mare, e sottrarla per sempre
a Pizzomunno che, impotente, assiste alla scena.
Il dolore per il giovane fu tale da lasciarlo letteralmente impetrito: da allora, Pizzomunno è sulla spiaggia di Vieste ad attendere la sua Cristalda, con la quale può congiungersi ogni cento anni.
La canzone
Il brano di oggi è “La
leggenda di Cristalda e Pizzomunno”, presentato da Max Gazzé al 68° Festival di
Sanremo del 2018.
Questa canzone è inclusa
nell’album Alchemaya, pubblicato a febbraio dello stesso anno, e diviso
in due parti: la prima comprende brani d’ispirazione religiosa, prevalentemente
di origine biblica, mentre la seconda include alcuni brani già noti del
cantautore romano, ma arrangiati per orchestra e sintetizzatori. Un’opera senza
dubbio di grande rilievo, che merita almeno un ascolto: state sicuri che non ve
ne pentirete.
Nell’introdurre un
monologo di Pierfrancesco Favino, attore e co-conduttore dell’edizione del
festival di quell’anno, Claudio Baglioni, direttore artistico e presentatore,
disse: “Quando ho accettato di fare il
direttore artistico del festival di Sanremo, ho pensato di portare anche la
parola”.
Ed è proprio questo uno
dei pregi di questa canzone, la parola: il testo, degno della più nobile
tradizione letteraria italiana, riesce a trasmettere magia ed incanto, proprio
come una bella favola deve fare. La ciliegina sulla torta è l’orchestrazione, che
ci porta in un mondo fantastico con classe, eleganza e raffinatezza. Non a
caso, questa canzone ha vinto in quell’edizione del festival il Premio Giancarlo Bigazzi alla miglior
composizione musicale, premio assegnato dall’orchestra.
Si realizza, così, una
perfetta fusione tra musica e parole, realizzando quello che è un raro pezzo di
arte.
La versione che vi
proponiamo è quello originale dell’album, dove le immagini sono molto curate,
particolari ed originali (cosi come tutte quelle dell’album relativo),
contribuendo ulteriormente, insieme a testo e musica, a trasportarci in un
mondo fantastico.
Buon ascolto!
Autrice: Annarita N. Cover Design: Valerio Ichikon Salzano
“Forse sarebbe più bello tacere,
in accordo coi nostri pensieri,
che solo ad esprimerli in verbi e parole
non sono più verità.
Ma so che sarebbe anche bello sceglierle bene; per farle aderire con più precisione all’anima con la sua musica.“ (Canzone Ecologica, Marlene Kuntz)
Poesia in musica. Non credo ci sia definizione migliore per la produzione
dei Marlene Kuntz.
Il nucleo storico di questo gruppo originario di Cuneo è formato da
Cristiano Godano (voce e chitarra), Riccardo Tesio (chitarra) e Luca Bergia
(batteria, percussioni, cori). La loro attività inizia al termine degli anni
’80 e hanno all’attivo 10 album in studio.
Il sound del gruppo si è evoluto nel tempo, pur
mantenendo delle caratteristiche peculiari: suono aggressivo, un po’ distorto e
quasi isterico di “Festa Mesta” ed “M.K” (dall’album “Catartica”,
1994), uniti ad un uso della parola ricercato, poco comune nel panorama
musicale specialmente quello attuale.
Tra le canzoni più celebri del gruppo ci sono, senza dubbio, “Nuotando nell’aria” (1994) e “La canzone che scrivo per te” (2000),
quest’ultima in collaborazione con Skin.
L’attività di collaborazione con l’artista voce degli Skunk Anansie continua tutt’oggi: infatti, il 25 aprile di quest’anno (la data non è casuale) i Marlene Kuntz e Skin hanno pubblicato una cover della canzone popolare “Bella Ciao”, il cui video ufficiale è stato girato a Riace e il cui ricavato è stato devoluto al progetto È stato il vento – Artisti per Riace.
L’ispirazione
Lo scrittore al quale ci dedichiamo oggi è l’americano John Updike. Ha iniziato la sua carriera come collaboratore de “The New Yorker” intorno al 1954, ma la sua carriera da scrittore decolla circa sei anni dopo, quando pubblica “Corri, Coniglio”. Questo romanzo è il primo della cosidetta serie del coniglio, di cui i successivi sono: “Il ritorno di Coniglio” (1971), “Sei ricco, Coniglio” (1981), “Riposa Coniglio” (1990), “Rabbit Remembered” (2001).
La produzione di Updike non si ferma però alla
produzione di romanzi, ma spazia anche tra racconti, poesie e saggi.
Per quanto riguarda i
temi delle sure opere, lo stesso Updike ha affermato:
“My subject is the American Protestant small-town middle class. I like middles. It is in middles that extremes clash, where ambiguity restlessly rules”
“Il mio soggetto è la classe media protestante Americana delle piccole città. Mi piacciono le classi medie. E’ lì che gli estremi si scontrano, dove l’ambiguità governa senza sosta”.
In effetti, Updike può
essere definito contemporaneo più che moderno. Soprattutto dai suoi romanzi
traspare un’umanità perennemente insoddisfatta, che ha tutto pur credendo di
non avere nulla e ricerca costantemente una felicità nel futuro che è già
presente nell’ora.
La canzone
Il brano di oggi è
“Ricordo”, naturalmente dei MK (Marlene Kuntz), incluso nell’album “Senza Peso” pubblicato nel 2003. Altre
canzoni degne di nota appartenenti a questo lavoro (il quinto dei MK) ci sono “Notte” e “Fingendo la poesia”; non mancano, però, canzoni che ricordano il
sound degli esordi come, ad esempio, “Sacrosanta
verità”.
A differenza degli altri
brani che abbiamo citato in questa rubrica, non trae ispirazione in toto dalla letteratura, ma cita Updike:
“Un giorno la tua voce mi chiamò
Per dirmi: “Ti ricordi di Updike?
L’ho preso ed è magnifico”,
E mentre mi dicevi così
Pensavo che tu, prima, mai
Avevi telefonato a me…
È l’ultimo ricordo che ho di te
E so che non lo perderò”
Come la maggior parte dei testi dei MK, anche questo è intriso di poesia, ma soprattutto di delicatezza: si parla infatti di un suicidio, ma le parole morte/vita non vengono mai utilizzate.
C’è chi aspetta la domenica per veder giocare a calcio la propria squadra
del cuore, o chi l’aspetta per il regolare pranzo luculliano, magari a casa
della nonna, con tutti i parenti.
Ma cosa rappresenta davvero la domenica?
Nella Sacra Bibbia la domenica viene indicato come giorno del riposo (“E il settimo giorno si riposò), ed è
quello che comunemente si fa in questo giorno: ci si riposa, ci si dedica ai
parenti, agli amici, si coltivano i propri hobby.
Questo in un’ottica del domani, quando si è sicuri che ad una domenica ne
seguirà, dopo 6 giorni, un’altra, un’altra, ed un’altra ancora.
Ma cosa fare quando non si è sicuri di questo rassicurante circolo
temporale?
Cosa fare quando si è certi che questo susseguirsi di giorni, a breve, avrà
fine?
L’ispirazione
Il romanzo “L’ultima spiaggia” (“On the beach”) dello scrittore Nevil
Shute, statunitense e naturalizzato australiano, è stato pubblicato nel 1957,
ed ha ricevuto critiche positive dai maggiori quotidiani americani. Una
curiosità: prima di essere pubblicato in forma di romanzo, On the beach ha visto la luce in quattro parti, ridotte rispetto al
romanzo “ufficiale”, sul periodico “Sunday
Graphic” (un po’ proprio come Le
Cronache di Vaffambaffola??).
L’opera di Shute descrive uno scenario letteralmente apocalittico che segue
ad una Terza Guerra Mondiale, dove armi nucleari vengono usate in maniera
massiccia. A scatenare gli scontri sono in primis l’Albania e l’Egitto, ma
vengono ben presto coinvolti gli USA e la NATO, il Regno Unito, l’Italia, la
Russia e la Cina, insomma i principali paesi dell’emisfero nord della Terra, le
cui popolazioni vengono ben presto annientate.
L’uso estensivo di armi nucleari ha come effetto ultimo quello di rendere
abitabili solo paesi dell’emisfero meridionale, come il Sudafrica, il
Sudamerica, e l’Australia, dove è ambientata la narrazione. Ogni personaggio
sviluppa la propria storia all’interno di questo scenario apocalittico, dove
l’unica speranza di sopravvivere alla
sofferenza sembra il suicidio.
Il sentimento che accomuna tutti i personaggi è noia tipica di un’attesa di
un evento finale inevitabile.
La canzone
Questo stesso sentimento di noia è al centro del brano di oggi: “Everyday is like Sunday” di Morrisey.
Steven Patrick Morrissey inizia la sua carriera
come cantante solista nel 1987,
quando pubblica l’album “Viva Hate”
dal quale la canzone è tratta. Ad alcuni la sua voce suonerà forse familiare,
ed il motivo è legato ad uno spot pubblicitario del 1999. Prima di
intraprendere la carriera solista, infatti, Morrisey era il frontman dei “The
Smiths”. Uno dei maggiori successi di questa band inglese affermatasi nel
panorama musicale internazionale negli anni ’80 è “Please, please, please, let me get what I want”, che fu scelta
dalla Tuborg come colonna sonora di un suo spot.
La noia, il disinteresse assoluto e la sensazione di dover aspettare
eternamente qualcosa di sconosciuto pervadono la canzone dall’inizio alla fine;
se poi si vive in una città di mare desolata e si è in inverno, questi
sentimenti sono automaticamente amplificati. Si ha la sensazione di essere
stati dimenticati da tutto e tutti, non c’è niente che possa rompere questa
tranquillità irreale, tranne un’armageddon
o una bomba nucleare:
How I dearly wish I was not here In this seaside town That they forgot to bomb Come bomb, Nuclear bomb”
Come vorrei, con tutto il cuore, non essere qui In questa città a ridosso del mare Che hanno dimenticato di bombardare Vieni bomba, vieni bomba nucleare”
Oltre a portare la firma di Morrisey, il secondo
autore del brano è Stephen Street, noto
produttore inglese, che ha collaborato con i The Smiths prima, Morrisey poi, e
con altre band famose, ad Esempio i Cranberries, Kaiser Chiefs and Blur.
L’ascolto
Morrisey è un interprete formidabile, ma è anche,
come lo definiremmo in gergo colloquiale, un personaggio: piace, sa di piacere,
ed è un artista che, seppur non faccia corse e capriole sul palco, lo riempie
tutto solo con la sua presenza. Guardate questo video, e provate a darmi torto:
La scelta di utilizzare una classica struttura per
il brano (strofa-ponte-ritornello) ed un classico giro di do (la più semplice
successione di accordi che si possa imparare) rende a pieno i sentimenti di
noia espressi nel testo.
Molti cantanti/gruppi hanno realizzato delle cover
del brano, ma la versione che mi ha colpito di più è questa di Puddles Pity
Party, alter ego di Big Mike Geier. L’ossimoro richiamato nella canzone tra
domenica/noia è ben ripreso da quello del pagliaccio, che per definizione
dovrebbe essere sempre allegro, ma non lo è.
https://www.youtube.com/watch?v=7rvPAYgz2Gc
Ma ecco il video originale:
Chi ha vissuto in Inghilterra sentirà cucito
addosso il testo della canzone, e riconoscerà come familiari i luoghi del
video, che è stato girato a Southend-On-Sea.
Il video ufficiale della canzone è inoltre una
buona occasione per Morrisey per sensibilizzare le persone ad una cultura
alimentare che escluda ogni tipo di animale dalla propria dieta ed all’eliminazione
dell’uso delle pellicce. Tra l’altro, Meat
is murder, uno dei messaggi che la protagonista del video scrive su una
cartolina a due signore impellicciate, è il titolo del secondo album dei The
Smiths.
Il finale
Sul web sono presenti diversi documentari su
Morrisey; in uno di questi Alan Bennett, drammaturgo e scrittore inglese,
afferma:
“He’s got an interesting face.
He looks to have a story to tell.”
“Ha una
faccia interessante. Sembra che abbia una storia da raccontare”.
Forse è proprio vero: dopo aver ascoltato una sua
canzone ne vorresti sentire un’altra, un’altra ed un’altra ancora.
Magari questo capiterà anche a te, che stai
leggendo, al termine di questo articolo.
E magari questo succederà di domenica. E magari sarà il tuo punto di svolta, il tuo armageddon, la tua bomba.
Autrice: Annarita N. Cover design: Valerio Ichikon
11 settembre 2001, attentato alle
Torri Gemelle di New York.
Tutti hanno una propria storia da
raccontare legata a quell’evento, ed oggi andremo alla scoperta di quella dei
The Cure.
La band si è formata al termine
degli anni ’70 nel Lancashire, regione a nord-ovest dell’Inghilterra, e tutta
la sua produzione è dovuta alla creatività del cantante Robert Smith, unico
membro facente parte del gruppo dalla sua fondazione ad oggi.
La storia della letteratura e del cinema è piena di
personaggi secondari, perdenti, ma non per questo privi di carica narrativa e
di esempi di vita. Mi riferisco a quei personaggi nati per stare, per loro
stessa natura, perennemente nell’ombra, ma non per questo privi d’impeto
vitale.
Ad esempio, tutti i fan della serie “Il Trono di Spade” (sceneggiatura basata
sul ciclo di libri “Cronache del ghiaccio
e del fuoco” di George R. R. Martin) sapranno attribuire senza dubbio la
paternità di quest’affermazione:
“Mio fratello ha l’armatura e io ho la mia mente, e la mente dipende dai libri quanto la spada dall’affilatura”.
Tyrion Lannister – Il Trono di Spade
Tyrion Lannister è l’ultimogenito (pertanto, di poco
conto) di una famiglia molto potente, il cui giorno di nascita coincide con il
giorno della morte della madre, e per ultimo è un nano. E’ consapevole di tutto
ciò, e cerca di sopperire ai propri difetti
con un’arma che tutti hanno, ma che in pochi sanno usare, in altre parole la
mente, che deve essere costantemente alimentata tramite l’esercizio della
cultura e della lettura.
Proprio come Tyrion, il protagonista di oggi ha
un’importante caratteristica fisica, cioè un naso che a definirlo grande
sarebbe un eufemismo.
Il suo nome è Cyrano de Bergerac, è francese ed è
nato nel 1897 grazie alla penna del drammaturgo francese Edmond Rostand. In
realtà Cyrano è un personaggio realmente esistito, vissuto principalmente a
Parigi tra il 1619 (la data della sua nascita è incerta) e il 1655. Proveniente
da una famiglia ricca e benestante, in gioventù conduce una vita sregolata,
frequentando spesso e volentieri locali di cabaret e acquisendo il vizio del
gioco. Nel 1639 si arruola nell’esercito francese sotto indicazione del padre,
dove inizia a farsi conoscere per la sua bravura nei duelli, fama che continua
a seguirlo (e lui contribuisce ad alimentare) anche qualche anno dopo,
esattamente nel 1640, quando lascia le armi per dedicarsi allo studio della
letteratura. Conosce e si fa conoscere da alcuni pilastri della letteratura
francese, come Molière e Corneille.
Ha scritto molte storie e romanzi, tra cui le più
importanti sono L’altro mondo o Gli stati
e gli imperi della luna (L’autre
monde ou Les états et empires de la lune, pubbl.1657) e Gli stati e imperi del sole (Les états et empires du soleil,
pubbl.1662), che gli hanno valso il titolo di precursore di romanzi
fantascientifici, dove il viaggio e l’esplorazione di nuovi mondi costituiscono
il fulcro della narrazione.
Il momento storico si fa sentire fortemente nelle
opere di Cyrano, con uno scetticismo crescente derivante da nuove
consapevolezze scientifiche che rendono la religione come un elemento estraneo
al tempo corrente. La conoscenza dei sensi è l’unica possibile, ad ogni
livello.
In forte contrasto con i dogmi della Chiesa, Cyrano
de Bergerac crede fortemente nella teoria eliocentrica e nella pluralità dei
mondi, supportando pertanto il pensiero di Copernico e Giordano Bruno. E’ senza
dubbio un agnostico, come emerge da un breve dialogo de “L’altro mondo, ovvero Gli stati e gli imperi della luna e del sole”:
” – Vi chiedo quale svantaggio troviate nel crederci [nell’esistenza di Dio]; sono sicurissimo che non me ne saprete scovare nessuno […]”
“L’altro mondo, ovvero Gli stati e gli imperi della luna e del sole” di Cyrano de Bergerac
” – Certo – mi rispose – che starei meglio di voi, poiché se Dio non c’è, voi ed io saremmo pari; ma, al contrario, se c’è, io non potrò aver offeso qualcosa che non credevo ci fosse, poiché, per peccare, bisogna o saperlo o volerlo. Non vedete che un uomo, poco o tanto saggio che sia, non si irriterebbe se un facchino lo avesse ingiuriato, qualora il facchino non si fosse accorto di farlo, o fosse stato il vino a farlo parlare? A maggior ragione Dio, del tutto immutabile, non potrebbe adirarsi con noi per non averlo conosciuto, poiché è Lui stesso ad averci rifiutato i mezzi per conoscerlo. Ma, sulla vostra fede, o mio piccolo animale, se la credenza in Dio ci fosse stata così necessaria, se infine avesse dovuto coinvolgerci dall’eternità, Dio stesso non avrebbe dovuto forse infonderci, a tutti, dei lumi tanto chiari quanto il sole? […] E se, viceversa, mi avesse dato uno spirito incapace di comprenderlo, questo sarebbe stato non difetto mio ma suo, giacché egli poteva darmene uno tanto vivo che lo avrei compreso”.
“L’altro mondo, ovvero Gli stati e gli imperi della luna e del sole” di Cyrano de Bergerac
Bisogna però precisare che le vicende narrate nell’opera di Rostand si discostano parzialmente dagli episodi di vita vissuta del vero Cyrano: allora affido questo racconto all’abile capacità narrativa di Alessandro Baricco:
Le rielaborazioni dell’opera di Rostrand sono numerose: per un sano campanilismo ricordiamo la versione di “Cyrano de Bergerac” del 1985 con uno straordinario Gigi Proietti nelle vesti di Cyrano; a prova di ciò, date un’occhiata al celebre monologo del naso:
Passando alle rielaborazioni cinematografiche,
memorabile è quella del 1990 con Gérard
Depardieu. La storia di Rostand e della nascita del Cyrano affascinano
ancora ai giorni nostri, infatti questo costituisce il fulcro del film “Cyrano, mon amour” uscito nelle sale
cinematografiche lo scorso anno.
Per quanto riguarda la musica, c’è un riferimento al
Cyrano über alles: “Cirano” di
Francesco Guccini, inserita nell’album “D’amore
di morte e di altre sciocchezze” pubblicato nel Novembre 1996.
La canzone non porta la firma solo dello stesso
Guccini, ma anche di Giuseppe Dati e Giuseppe Bigazzi, quest’ultimo per la
parte musicale. La coppia Dati-Bigazzi non si è formata in questa occasione, ma
i due sono collaboratori di vecchia data: oltre ad aver lavorato insieme per la
creazioni di molti brani di Marco Masini (in primis), Raf e Laura Pausini,
hanno lavorato anche con Mia Martini, creando uno dei capolavori interpretativi
della compianta artista calabrese, Gli
uomini non cambiano.
Un paio di curiosità su questi due autori, che non
meritano meno attenzione dell’interprete di Cirano.
Dati iniziò la sua carriera artistica collaborando
con Gianni Rodari musicando alcune rime per bambini composte dal poeta; non si
allontanerà mai dal mondo dell’infanzia, scrivendo molte sigle di cartoni
animati, una su tutte quella dell’anime Naruto
Shippuden.
Il profilo di Bigazzi,
invece, è molto più classico, essendo stato attivo soprattutto tra gli anni ‘60
e ‘70; da segnalare, però, la sua attività di compositore di colonne sonore di
film come Mediterraneo.
Guccini non avrebbe bisogno di nessuna presentazione. E’ un interprete molto profondo di canzoni di stampo sociale. A questo proposito, le parole di Dario Fo non potrebbero essere piu’ precise:
“Quella di Guccini è la voce di quello che un tempo si diceva il “movimento”. Oggi, semplicemente una voce di gioventù. E cioè di granitica coerenza con il proprio linguaggio e pensiero. Nella sua opera c’è un discorso interminabile: sull’ironia, sull’amicizia, sulla solidarietà”.
(Dario Fo, Premio Nobel per la letteratura 1997, Archivi Rai)
Per chi volesse conoscere un po’ di piu’ Guccini, suggerisco questa intervista fatta da Diego Bianchi, in arte Zoro, non molto tempo fa:
Come già detto nei precedenti articoli di “Note a margine”, io amo le esecuzioni dal vivo perché dirette; il live è il luogo dove le maschere cadono, è la prova finale delle capacità interpretative di un artista. E allora ascoltiamo insieme Cirano tratta da un concerto dal vivo tenutosi nel 2004 a Cagliari:
A parlare è un uomo stanco, stanco della vita, stanco
degli insuccessi che raccoglie nonostante i numerosi sforzi fatti. Cirano punta
il dito e accusa molte persone: coloro che vogliono avere la vita facile, che
non rispettano le regole e si credono intelligenti per questo, chi dovrebbe
amministrare la società civile, chi crede in un Dio o in nessuno.
Cirano punta il dito con rabbia, noia, delusione, ma
soprattutto disprezzo, e l’unica arma che ha per difendersi/attaccare è la sua
spada, ma non quella che porta al suo fianco, ma quella che permette, a chi è
davvero abile e capace, di vincere un duello: l’arte della parola.
E’ solo la parola che permette, proprio come succede
a Tyrion Lannister, di stravolgere l’esito di situazioni che sembrano già
segnate, di uscire indenni da un pericolo
che sembrava darti per spacciato. Ed è proprio l’arte della dialettica, della
quale lui è un degno rappresentante, che permette a Cirano di dichiarare ed
esternare i sentimenti d’amore che prova verso Rossana. Si potrebbe pensare che
Cirano sia una persona pessimista, ed invece non lo è, perché crede nel futuro
e nell’esistenza di una qualche divinità grazie alla forza dell’amore che nutre
per Rossana.
Cirano è un uomo fiero, testardo, forse orgoglioso,
ma anche onesto, fedele e leale.
E’ un uomo libero, ed è proprio per questo che può
permettersi di inveire contro tutto e tutti.
E’ una figura rivoluzionaria, soprattutto se vista
con gli occhi della nostra epoca, dominata senza dubbio da una comunicazione
fittizia e di basso livello,
fatto di colpi bassi, offese gratuite e per la maggior parte irrilevanti
rispetto all’argomento di cui si sta parlando; con lo scopo ultimo di
distogliere l’attenzione (non dell’interlocutore come faceva Cirano) del
pubblico sull’argomento).
Ed
ecco, allora, come immagino il Cyrano di oggi: un uomo che usa gli strumenti
informatici per smascherare in maniera puntuale i disonesti, gli arroganti, i
falsi, i qualunquisti, i
menefreghisti senza fare clamore, senza alzare la voce, ma colpendo, toccando, usando un lessico opportuno.
Ed è questa la persona alla quale vorrei che il mondo somigliasse.
Cosa hanno in
comune Mao Tse-Tung, J. R. R. Tolkien, J. K. Rowling, Dan Brown e Paolo Coelho?
Sono tutti autori di libri che sono stati tra i più venduti dalla loro
immissione nel mercato letterario: si passa dai 57 milioni di copie de “Il
Codice da Vinci” ai 820 milioni di copie de “Il Libro delle guardie rosse”,
raccolta di citazione del maggiore dittatore cinese.
Tuttavia, c’è un
libro che rappresenta un caso unico nell’editoria moderna mondiale, poiché il
numero di copie vendute (circa 3900 milioni) supera di gran lunga i sopracitati
titoli.
Romeo e Giulietta, ovvero di un amore trovato e non vissuto
“Romeo e Giulietta”, una delle storie d’amore più belle
di tutti i tempi.
Sicuramente ricorderete la celeberrima citazione “Romeo, perché sei tu, Romeo?” (Giulietta:
atto II, scena II), a mio parere troppo inflazionata. Preferisco: “Cosa
c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con in altro nome conserva sempre
il suo profumo” (sempre Giulietta, sempre atto II, scena II), perché l’amore non si ferma in
superficie, l’amore s’innamora di quello che di più intimo c’è nel cuore delle
cose e delle persone.
Per i più distratti, la rubrica di ErrareUmano “Note a margine” oggi vi porterà ad esplorare la nota tragedia shakesperiana, datata intorno alla fine del 1500, attraverso un brano musicale proveniente dagli anni ‘80. Facciamo quindi un salto di circa quattro secoli, un lasso di tempo che mostra come alcuni temi e sentimenti siano davvero universali ed eterni.