Bollettino errante n°5

Al governo cinese marxista-leninista non piacciono i marxisti

Agosto 2018. Il Guangdong, regione della Cina con la più alta concentrazione di industria manifatturiera era scenario da più di un mese di proteste da parte degli operai della Jasic International di Shenzen (fabbrica di macchine per saldature). Gli operai chiedevano maggiori diritti e la possibilità di costituire un nuovo sindacato indipendente. Un gruppo di studenti universitari di ispirazione marxista, proveniente da tutta la nazione si sono incontrati a Huizhou per poter appoggiare il movimento di protesta e per organizzare la contestazione. Ma poco prima di dar man forte agli operai, la polizia ha fatto irruzione nei loro alloggi in assetto antisommossa e li ha portati tutti via con la violenza. Le persone detenute, ancora oggi, sembrano essere 32 e tra gli attivisti vi è Yue Xin (22 anni) divenuta simbolo delle studentesse che si battono per le disuguaglianze, la giustizia sociale e i diritti delle donne in Cina. Precedentemente aveva messo in luce il caso di una studentessa che si era suicidata dopo essere stata violentata da un alto funzionario del partito unico.

Zhang Shengye stava cercando notizie in merito alle scomparse avvenute in quel contesto e anche lui è stato prelevato e portato via con le cattive da persone non identificate. Chi ha tentato di fotografare la scena e gli individui rapitori, è stato malmenato e ridotto al silenzio. Tutto questo è successo all’interno del contesto universitario.

I due studenti arrestati: Yue Xi e Zhang Shengye

All’indomani della sua sparizione l’Università di Pechino ha definito criminali le attività svolte dagli studenti in questione e, in quanto tali, perseguibili in base alle leggi dello stato.

Il retroterra su cui si basano le proteste e i dissensi

Nelle università come quelle di Pechino, esistono delle società simili alle confraternite delle università statunitensi. La differenza sta nel fatto che a differenza delle seconde, le prime sono emanazione del partito unico o strettamente connesse con esso. Per poter costituirne una è necessario ottenere il benestare di un garante, “consulente di facoltà” che si faccia carico della buona interpretazione delle ideologie dello stato e che non emergano dissensi o controversie ideologiche.

Con queste premesse, gli studenti hanno iniziato autonomamente a prendere in considerazione la possibilità di riunirsi in piccoli gruppi di studio e leggere le opere del filosofo tedesco senza l’intermediazione di consulenti o professori vicini al partito. La lettura, indipendente dall’influenza del potere, ha fatto emergere le dissonanze che ci sono tra ciò che si impara sui manuali e ciò che esprimono gli scritti marxisti. Lo stato impone una visione in cui il marxismo è una teoria di sviluppo economico e che in Cina non ci sia niente che non va, mentre si scopre che la lotta di classe e la disuguaglianza sociale sono il perno su cui si basa il pensiero espresso nelle opere.

“Sai perché questi studenti fanno paura?”, mi dice il signor Ke. “Perché vengono dalle università d’élite, sono dotati e influenti. Cominciano gli studi come convinti neoliberisti, pensano alla propria carriera, alla competizione, al merito, a come farsi strada nella vita, a come fare soldi. Poi però si rendono conto che nonostante la fatica non riescono ad avere il lavoro a cui ambivano, si guardano attorno e prendono coscienza della disuguaglianza sociale. Così riscoprono Marx”.

Tratto da Internazionale

La versione marxista di Xi Jinping

Durante la celebrazione del bicentenario della nascita di Marx, Xi Jinping aveva elogiato le teorie del filosofo come ancora valide e perfettamente in linea con l’andamento dell’economia del paese.

Stiamo parlando dello stesso presidente cinese che è riuscito ad eliminare il limite del secondo mandato e ha amplificato i suoi poteri di controllo sul partito. Ha lanciato una campagna anti-corruzione che non ha fatto altro che giustificare l’incarcerazione e l’allontanamento di esponenti a lui ostili o contrari.

Un esempio eclatante di cui nessun media parla è stata la sparizione di Meng Hongwei, Capo dell’Interpol (l’equivalente del capo dell’ispettore Zenigata di Lupin III, per capirci) ed ex vice-ministro dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza. Arrestato e detenuto senza un processo e con l’accusa di corruzione.

Per non parlare della pervasività di controllo in ambito di telecomunicazione. Basti pensare alla censura di Winnie the Pooh in tutti i media del paese. Tutto perché in rete erano iniziate a circolare meme e immagini derisorie del presidente a cui accostavano l’orsetto amante dei vasetti di miele.

Xi Jinping e i meme con Winnie the Pooh

Le autorità la sanno lunga e tengono bene in mente la storia

Perché fa paura una manciata di studenti? Gli organi del partito lo sanno bene. Sanno bene che bisogna fare molta attenzione a chi si trova a passare tra le aule delle università e per i suoi corridoi. Quasi un secolo fa, in quelle aule, un giovane ragazzo assistente bibliotecario (quindi nemmeno studente) frequentava gruppi di studio, leggeva e iniziava il suo percorso formativo da autodidatta. Quel ragazzo si chiamava Mao Zedong ed ha cambiato le sorti di generazioni di cinesi.

Fonti e approfondimenti:

cinaoggi.it – L’anno delle persone scomparse in Cin

China-files.com – Continuano le repressioni contro i giovani marxisti

Agi.it – Marx va bene, i marxisti no. E la Cina chiude i circoli studenteschi

Internazionale – In Cina gli studenti marxisti non hanno vita facile

CLB – Jasic crackdown extends to trade union officials and lawyers

SCMP – Fears for young Marxist activist missing after police raid in China

Supchina – And then they came, again, for the student Marxists

Danske Bank ovvero l’episodio di riciclaggio più grande della storia

Siamo di fronte a un evento epocale e di cui nessuno sembra prendersene cura. Il secondo paese definito come il meno corrotto al mondo (fonte) è, invece, il paese che ha avuto il più grande episodio di riciclaggio di denaro sporco proveniente da organizzazioni criminali e nazioni poco trasparenti. Si ipotizza un traffico di capitali di oltre 230 mld di euro ma secondo le stime la cifra potrebbe raggiungere anche i 4000 mld. Le vicende non sono ancora chiare e le indagini hanno portato a poche notizie certe. Si sa che il tramite per il trasferimento di fondi provenivano per la maggior parte da clienti russi e da canali azeri. Tutte le transazioni passavano per una filiale estone di Tallin acquisita da Danske Bank ed altre filiali provenienti da Lettonia e Lituania. Il periodo preso in considerazione va dal 2007 al 2015 e a capo della filiale estone Sampo Bank (la maggiore indiziata) vi era Thomas Borgen che grazie a quelle plusvalenze e ai suoi guadagni è riuscito a diventare, successivamente, Ceo della casa madre danese nel 2013.

Glasgow, la nursery delle società neonate

I soldi sono andati a finire per lo più in altri paradisi fiscali attraverso triangolazioni che avevano lo scopo di far perdere le loro tracce e soprattutto l’origine dei loro percorsi. Come al solito i nomi che balzano alle cronache quando girano tanti soldi sono Panama, Belize, Isole vergini britanniche e Londra. Curiosa però è la comparsa di una new entry, Glasgow. Grazie a un buco giuridico all’interno della legislazione scozzese, si è scoperto che più di 800 società si erano registrate all’ 111 di West George street, per la precisione in un punto vendita di Mail Boxes etc.

I lavandai eccellenti non finiscono mai

Gli inquirenti danesi e di altre nazioni hanno ipotizzato che tra gli innumerevoli rivoli di denaro elettronico ci sia lo zampino di un familiare di Putin e probabilmente l’assassinio di tre persone legate alle vicende prima che tutto venisse a galla.  Il primo fu Alexander Perepilichny, morto avvelenato in Inghilterra il giorno prima di testimoniare in tribunale per riciclaggio. Poi è stata la volta dell’avvocato Sergei Magnitsky che è morto in circostanze sospette durante la custodia cautelare in Russia. Infine è stato il turno di Andrej Kozlov, vice governatore della Banca centrale Russa, freddato a colpi di kalashnikov col suo autista un mese prima che venisse uccisa Anna Politkovskaja.

C’è del marcio (non solo) in Danimarca…

Molte transazioni che partivano dalle filiali baltiche sono finite anche in conti correnti svizzeri. Le autorità elvetiche hanno aperto un’inchiesta in merito a 12 mld depositati. L’autorità di controllo sta cercando di dimostrare la propria trasparenza, visto la recente apertura sul segreto bancario.

Altro ruolo invece gioca la Germania, considerata anch’essa trai paesi più puliti al mondo e implicata nello scandalo innescato da Danske Bank. La Fed (Federal Reserve) ha iniziato a interessarsi al caso, perché Deutsche Bank fino al 2015 è stata la banca corrispondente di Danske Bank negli Stati Uniti e in questa veste avrebbe movimentato 150 mld di dollari di investitori fuori dal paese.

Le indagini sono aperte anche in Inghilterra, dove la National Crime Agency ha attenzionato la filiale inglese di Danske Bank e stimato che i flussi di denaro potrebbero aver toccato 15.000 tra società fiduciarie schermate di cui non si conosce la provenienza.

Lo stesso vale per il dipartimento di giustizia degli USA che ipotizza un giro d’affari che va dai 2000 ai 4000 mld di dollari. Un cifra che potrebbe bastare per l’acquisizione di Apple e Amazon messe insieme. 

la Repubblica – Scandalo riciclaggio, anche Deutsche Bank nella rete di Danske: sospetti su 150 miliardi

The Daily Beast – Russian Whistleblower Assassinated After Uncovering $200 Billion Dirty-Money Scandal

OCCRP – Report: Russia Laundered Millions via Danske Bank Estonia

Financial Times – Danske: anatomy of a money laundering scandal

Il Sole 24 Ore – Danske Bank, il giro del mondo dei miliardi riciclati

The Guardian – Is money-laundering scandal at Danske Bank the largest in history?

Reuters – Explainer: Danske Bank’s 200 billion euro money laundering scandal

Foreign Policy – The Danske Bank Scandal Is the Tip of the Iceberg

valori.it – Danske, la Russia e il riciclaggio: la banca che fa crollare il mito danese

Il Sole 24 Ore – Danske Bank incriminata per il maxiriciclaggio da 200 miliardi di euro

Il Sole 24 Ore – Caso Danske Bank, sono 4mila i miliardi a rischio riciclaggio

Terreni in mano alle multinazionali restituiti… oppure no?

Dopo 8 anni l’alta corte della Sierra Leone ha ordinato la restituzione di 41000 ettari di terreni agli abitanti del distretto di Port Loko. Nel 2010 i terreni vennero dati in concessione alla Sierra Leone Agricolture Ltd. Per farne campi per la coltivazione di palme da olio. Dal 2011 l’azienda è parte del gruppo SIVA, colosso indiano con sede a Singapore, accusato di aver frodato una banca e aver mandato in bancarotta alcune sue controllate. Il motivo che ha portato alla sentenza della corte è il mancato pagamento dell’affitto dovuto alla comunità a cui sono stati sottratti i terreni in questione. Oltre a restituire i 41000 ettari, dovrà pagare gli arretrati non pagati, cioè 250.000 $.

Si tratta della prima volta che una multinazionale è costretta a restituire i terreni per non aver rispettato il contratto d’affitto. In Sierra Leone la legge consente ai governi locali di poter concedere terre per fini di sviluppo. I capi tradizionali sono tenuti a gestire i campi per conto della comunità.

Il contratto in questione, infatti, sarebbe stato siglato trai capi tradizionali e la compagnia indiana senza passare per l’intermediazione del governo centrale. La SIVA aveva promesso 8 mila posti di lavoro nella piantagione e i lavoratori impiegati non avevano contratti regolari.

La sentenza è sicuramente positiva, ma non garantisce la restituzione delle terre ai piccoli contadini che le occupavano prima del 2010. La terra potrebbe tornare nelle mani dei capi tradizionali che a loro volta potranno concederla di nuovo ad altri investitori senza interpellare la comunità di Port Loko.

scritto e redatto da Francesco Pennanera

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