The Big Hack: l’operazione spionistica nel cuore degli USA
Si tratta dell’attacco hardware più sfrontato della storia dello spionaggio tecnologico se venisse confermato. La rivista Bloomberg Businessweek ha pubblicato un reportage sul possibile attacco da parte dell’esercito di liberazione nazionale cinese a danno di almeno trenta compagnie, tra cui Amazon, Apple, Supermicro. Tutte le aziende coinvolte hanno smentito immediatamente la possibilità di un attacco che ipoteticamente potrebbe aver compromesso la sicurezza di moltissimi data center.
Bloomberg afferma di avere a disposizione 17 fonti affidabili che confermano quello che viene descritto nel reportage e svelano che esiste un’inchiesta top secret che va avanti dal 3 anni.
La storia della scoperta
Tutto inizia nel 2015, quando Amazon decide di voler acquisire l’azienda Elemental Technologies. L’azienda oggetto dell’interesse del colosso è esperta nella compressione di grandi file video e nella formattazione di formati adatti per il video streaming. Prima di poterne acquisire il know-how, Amazon decide di incaricare una società terza di controllare lo stato di sicurezza dei server installati alla Elemental Technologies. Il risultato dell’ispezione è la scoperta di un chip della grandezza di un chicco di riso saldato sulla scheda madre di un server della Super Micro Computer Inc. (conosciuta come Supermicro), completamente estraneo al design originale della scheda madre.
L’ipotesi è una installazione del chip durante la produzione delle schede madri per i server della Supermicro.
Come funziona il Big Hack
Questo chip grande quanto la punta di una matita, può parlare ai dispositivi su cui è installato e comunicare con innumerevoli computer che rimanendo anonimi e dislocati in qualsiasi parte de mondo, hanno la possibilità di accedere alle macchine in cui il supporto hardware è installato. Oltretutto è capace di preparare il sistema operativo del server ad accettare un nuovo codice complesso da caricare nel sistema. Il chip lo può fare perché è collegato al baseboard management controller che permette all’amministratore di poter accedere al login da remoto e supplire a tutti i possibili problemi gravi che potrebbero occorrere al sistema. Quindi chi attacca ne potrebbe avere il completo controllo e spiare ciò che avviene sul server e tutto il traffico che passa da lì.
Ripercussioni e soluzioni che non ci sono
Elemental Technologies non è il solo cliente della Supermicro e il sospetto degli esperti del settore è una infiltrazione gigantesca di server compromessi all’interno delle aziende più importanti dell’economia statunitense.
La nota dolente di tutta la vicenda è l’ammissione di impotenza di fronte a un fenomeno che non può più essere risolto. Tutta la filiera che si occupa di componentistica elettronica è ormai dislocata per la maggior parte in Cina o nel Sud-Est Asiatico. Si parla del 75% della produzione mondiale di smartphone e del 90% di computer (fonte Bloomberg). Tecnologia che le stesse compagnie attaccate hanno esternalizzato in questi paesi per poterne trarre margini maggiori e che adesso si ritrovano ad esserne le vittime seppur non dichiarano di esserlo.
Queste sono le considerazioni del Prof. Michele Colaianni, direttore della Cyber Academy dell’Università di Modena e Reggio-Emilia, andata in onda su 2024 del 12/10/2018 trasmissione di Radio 24:
Questo è un mondo dove la miniaturizzazione dell’elettronica consente azioni di questo tipo. E’ un mondo dove si sa, tutti spiano tutti e se vieni preso devi negare fino alla morte. Quindi partiamo dalla considerazione che la verità sarà sempre molto difficile da ottenere.
Fonte:
Bloomberg Businessweek – The Big Hack: How China Used a Tiny Chip to Infiltrate U.S. Companies
Per la prima volta nella storia due vescovi cinesi in Vaticano
Il 3 ottobre si è aperto il sinodo dei giovani. A presenziare questa volta anche due vescovi cattolici cinesi dopo l’accordo tra il Vaticano e la Cina del 22 settembre.
Quello del 22 settembre è un accordo provvisorio di cui non si conoscono i dettagli ma che ha dettato la nomina di sette nuovi vescovi in Cina. Il Papa ha riconosciuto alcuni vescovi della cosiddetta chiesa patriottica, precedentemente scomunicati perché non facenti parte della chiesa ufficiale. In Cina, infatti, esistono due chiese: la Chiesa patriottica che risponde al potere politico di Pechino e la Chiesa cattolica sotterranea che risponde alla Santa Sede.
L’accordo non era mai stato raggiunto proprio perché la Cina vuole controllare la nomina dei vescovi. Per Pechino tutte le religioni devono essere controllate dal potere politico. Diverse volte nel corso della sua storia il partito unico ha tentato di nominare un Dalai Lama fantoccio che sostituisse quello in carica. Una politica non nuova quindi.
D’altro canto non nuova è anche la volontà del Papa di opporsi a una intromissione del potere temporale nelle vicende che riguardano le nomine dei vescovi in altre parti del globo terracqueo. Col consolidamento dei nascenti stati territoriali tedeschi nel XVI secolo, simili furono le ripercussioni durante la Riforma protestante. I Principi appoggiarono le tesi di Martin Lutero per potersi liberare dal giogo Papale e avere la possibilità di nominare vescovi a loro affini, eliminando l’interferenza della Santa Sede.
I due vescovi
Mons. Joseph Guo Jincai, 60 anni, nel 2010 è stato nominato dalla chiesa patriottica e successivamente scomunicato dal Papa. Come parte dell’accordo del 22 settembre la scomunica viene rimossa e viene reintegrato nella Chiesa Cattolica, assegnandogli la nuova diocesi di Chengde; istituita precedentemente dalla chiesa patriottica ma non ancora riconosciuta dalla Santa Sede.
Mons. John Baptist Yang Xiaoting, vescovo di Yan’an è stato ordinato dal Papa e quindi era già riconosciuto dal Vaticano.
Il disgelo sta arrivando?
Non si sa cosa riserverà il futuro per quanto riguarda le relazioni diplomatiche tra Cina e Vaticano. Probabilmente la Cina avrà la possibilità di nominare i vescovi e il Papa invece avrà il potere di veto sulla loro candidatura. Può darsi che il Partito chiederà di allentare le relazioni con l’isola di Taiwan per il principio di una sola Cina (per approfondimenti). Al sinodo era presente anche il vescovo di Taiwan. La situazione è così incerta che il vice presidente di Taiwan è andato in visita in Vaticano il 14 ottobre per tentare di rafforzare il legame con la Santa Sede, invitandolo a far visita al paese da sempre in rivalità con la Cina continentale.
Questi sono i primi segni di disgelo dal 1951, cioè da quando le relazioni diplomatiche si sono interrotte.
Fonti:
Avvenire – La Chiesa e la sfida dei giovani: tutto quello che c’è da sapere sul Sinodo
Ad Amiens gli operai portano in giudizio i dirigenti della Goodyear
Al tribunale del lavoro di Amiens, più di mille operai chiedono giustizia nei confronti del colosso americano Goodyear. La multinazionale decise di licenziare gli operai dello stabilimento di Amiens e di chiudere la fabbrica utilizzando la procedura di licenziamento economico applicabile per le imprese in difficoltà finanziaria. Secondo gli avvocati difensori dei licenziati, nel 2014 (anno della chiusura dello stabilimento) la Goodyear presentava i bilanci migliori dell’ultimo decennio con 2,4 mld di dollari di profitto.
Difficile invocare la difficoltà economica come causale del licenziamento e della chiusura della fabbrica.
Quel tipo di procedura di licenziamento è la meno onerosa per le aziende e la meno compensatoria per chi viene licenziato. La Goodyear pensava che tutti i lavoratori si sarebbero rassegnati alla realtà delle cose, cioè di non essere risarciti adeguatamente e di non ottenere la giusta liquidazione come controparte per il loro licenziamento.
Ma non è andata così. La stragrande maggioranza degli operai ha lottato insieme per sette anni per poter rivendicare ciò che è di loro diritto e tutti insieme presenzieranno al processo.
Fonti:
Le Monde – Les ex-salariés de Goodyear aux prud’hommes : un procès hors norme à Amiens
Redatto da Francesco PennaNera
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