Dove vanno a finire le persone scomparse
Dal 2006 al gennaio 2019 sono scomparse più di 33 mila persone in Messico. Queste le stime ufficiali uscite fuori dalle denunce di scomparsa fatte negli Stati Uniti Messicani. Un gruppo di giornalisti ha messo su un progetto di ricerca consultabile sul web dal nome “A donde van los desaparecidos”: “Dove vanno le persone scomparse”. Questo progetto ha l’ardito compito di localizzare, tramite mappa, le fosse comuni scoperte dal 2006 fino ad ora.
La ricerca ha rivelato la presenza documentata di 1978 fosse comuni, nelle quali sono presenti 2884 corpi non identificati e 334 teschi.
Trattandosi di una repubblica del centr’America, qualcuno potrebbe pensare a fosse comuni derivanti dalle dittature che si sono susseguite dagli anni ’70 in poi. Per il Messico, invece, la questione è molto diversa. I carnefici in questo caso sono i cartelli del narcotraffico. Le vittime possono essere anche persone comuni, che non vorrebbero avere niente a che fare col mondo della criminalità, neanche combatterlo.
Il Messico è noto per essere una nazione con la più alta percentuale di giornalisti e oppositori politici assassinati. Chi si mette contro il cartello è un obiettivo sensibile, ma a destare preoccupazione è l’elevata percentuale di persone neutrali alle vicende.
La narcoguerra nel 2019, secondo i dati ufficiali elaborati dal Ministero della Pubblica Sicurezza, ha provocato 34.582 omicidi, una media di 95 al giorno.
Fonte Radio 24 | Il Sole 24 Ore
Da quando è iniziata nel 2006 sono state uccise 275 mila persone
Le organizzazioni criminali infatti hanno bisogno di persone che abbiano competenze specifiche, come l’informatica o le lingue. Quindi vengono sequestrati, resi schiavi per anni per poi, probabilmente, essere uccisi.
Le indagini sulle fosse comuni hanno rivelato che i corpi presenti, quando riconosciuti, provengono da stati messicani diversi.
La verità delle fosse comuni
Il progetto “Adonde van los desaparecidos” è partito da un gruppo di giornalisti. Erika Kuru, Marcela Turati, Mago Torres, Alejandra Guillén e altri collaboratori hanno deciso di non lasciare sole le famiglie dei desaparecidos, abbandonate a loro stesse da istituzioni che incapaci di aiutarle né di chiarire dove possono essere andati a finire i propri cari.
Loro non sono solo dei catalogatori, ma collaborano con esperti di antropologia forense per poter ricostruire ciò che è avvenuto alle vittime di quelle barbarie; la zona che sembra essere la più colpita è quella che in realtà agli occhi di tutti sembra essere la più sorvegliata del Messico, cioè la parte settentrionale al confine con gli Stati Uniti. Iper sorvegliata da una parte e dall’altra della frontiera, sempre monitorata, eppure scenario di delitti inenarrabili.
Lavoriamo meno, produciamo meglio
Nell’estate 2019 Microsoft ha deciso di iniziare una sperimentazione nella divisione giapponese che riguardava gli orari di lavoro. La nazione del sol levante è famosa per l’ammontare cospicuo di ore lavorative procapite e la pressione psicologica che l’ambiente di lavoro provoca negli impiegati.
Con l’iniziativa “Work Life Choice Challenge 2019 Summer” si è deciso di provare diverse soluzioni per migliorare l’esperienza lavorativa e tra queste, una in particolare ha avuto un insperato risultato.
In Giappone si è deciso di dare agli impiegati cinque venerdì liberi di seguito e una serie di raccomandazioni da seguire durante la fase della sperimentazione. Tanto per cominciare, le giornate libere retribuite. Poi il personale avrebbe dovuto attenersi a delle piccole regole, come per esempio la durata massima delle riunioni di 30 minuti per non appesantire il carico di lavoro e l’uso di strumenti di chat divisi per team e settori.
I risultati
Le vendite per impiegato sono aumentate del 40% comparandolo con l’anno precedente e si è notato un ulteriore risparmio nelle spese interne agli uffici. Con la diminuzione delle durate delle riunioni e del tempo lavorativo si è stampata meno carta (quasi il 60% in meno), si è consumata meno energia elettrica (-23%) e quasi la totalità dei partecipanti si è detto contenta della settimana breve.
Una soluzione al “karoshi”?
Il paese, secondo l’OCSE, non è tra quelli con un ammontare di ore annue così esagerato. L’Italia ad esempio ha un ammontare di ore lavorate annuo più alto. Ciò che non si sa è che molte delle ore lavorate in Giappone non vengono dichiarate e in media il 25% delle aziende giapponesi chiede 80 ore di straordinario a mese alla sua forza lavoro (fonte ricerca del governo Giapponese).
L’ammontare enorme di ore lavorate genera un fenomeno tutto asiatico e che accomuna anche paesi come la Corea del Sud e cioè il “karoshi”, letteralmente morte per troppo lavoro: si muore per il troppo stress e perché non si riesce a reggere il ritmo che impone l’azienda e in modo correlato la società e le persone che ti circondano in ambiente lavorativo e familiare.
Ci si chiede se questa sia solo una mossa pubblicitaria per far parlare di sé o una mossa in direzione dei lavoratori sovrasfruttati e sull’orlo del suicidio; lavorare meno e lavorare tutti sembra uno slogan d’altri tempi, eppure sembrerebbe la soluzione più ovvia visti i risultati. In un mondo in cui la politica ha la calcolatrice in mano sarebbe incoerente non tenerlo presente.
Hasankeyf non c’è più
L’8 ottobre 2019 gli abitanti di Hasankeyf hanno dovuto lasciare la propria casa e trovarsi una nuova dimora. Il motivo dell’esodo è dovuto alla decisione del governo turco di costruire la diga d’Ilisu sul fiume Tigri. Il paese è stato sommerso e non si avranno più tracce delle antiche civiltà che hanno costruito e calpestato quelle terre. La storia di Hasankeyf è vecchia di 12 mila anni e ha visto proliferare antichi popoli come gli Assiri. La diga ricoprirà una vasta area e inghiottirà altri 199 città curde.
La popolazione di Hasankeyf verrà trasferita in una new town anonima in stile post terremoto italiano con casette tutte uguali, senza servizi né strade. Questo villaggio, il più importante dei 200, ha visto non solo la dominazione assira, testimoniata dalle rovine di un ponte sul fiume, ma anche il passaggio dei Romani che ne ripresero la costruzione e lo rinnovarono.
I danni della nuova opera.
La diga di Ilisu nasce come progetto negli anni ‘50 e, oltre a sembrare un progetto superato per i tempi, pone diversi problemi in ambito geopolitico. Lo sbarramento provocherebbe una netta diminuzione di acqua per le nazioni limitrofe; inoltre per le persone costrette ad abbandonare la casa, il governo turco ha promesso soldi che non garantiscono l’acquisto di una nuova terra. Mentre, chi aveva ereditato la propria casa grazie ai propri avi, ma senza possedere alcuna documentazione che ne attestasse la proprietà, non ha avuto diritto neanche a un indennizzo.
Autore: Francesco PennaNera
[…] Qualcuno potrà obiettare: ma in 6 ore si produce di meno, non sono sufficienti! […]