Il 1 agosto 2015 l’Empire State Building di New York si è trasformato in una gigantesca tela sulla quale sono state proiettate immagini di animali che sono a rischio estinzione. In realtà, la proiezione ha voluto dare visibilità al documentario Racing Extinction, uscito all’inizio dello stesso anno e presentato all’interno del Sundance Film Festival.
L’estinzione di questi animali è da attribuire alle attività dell’uomo ed al suo intervento all’interno dell’ambiente naturale: questo è uno degli effetti dell’era che stiamo vivendo, l’antropocene. Questo termine deriva dal greco anthropos, ed indica proprio la centralità dell’uomo e delle sue attività rispetto all’ambiente che lo circonda.
Il primo ad aver utilizzato questa parola è stato il biologo statunitense Eugene F. Stoermer negli anni 80, ed è stato ripreso agli inizi degli anni 2000 dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, approfondendone il concetto in un articolo apparso sulla rivista Nature il 3 gennaio 2002.
Sebbene ci sia ancora molto dibattito sul suo inizio, convenzionalmente si fa corrispondere l’inizio dell’Antropocene con quello della rivoluzione industriale della fine del 18° secolo, ovvero in corrispondenza dell’invenzione della macchina a vapore da parte di James Watt (1784).
Da lì in poi, come conseguenza delle migliori condizioni di vita, la popolazione mondiale è aumentata in maniera esponenziale, facendo aumentare in maniera altrettanto rapida la richiesta di cibo.
L’aumento degli allevamenti di bestiame ha prodotto un incremento di metano nell’atmosfera fino a 1.4 miliardi di metri cubi.
La richiesta di nuovi terreni per coltivazioni e costruzione di nuove abitazioni e di nuove città sottrae costantemente terreno alle foreste, alterando l’equilibrio O2-CO2 (ossigeno-anidride carbonica) nell’atmosfera.
La crescita nella produzione di energia ha portato ad un sensibile aumento di SO2 (anidride solforosa) nell’aria.
Queste sono solo alcuni degli effetti dell’attività dell’uomo sull’ambiente; è facile, quindi, essere d’accordo sull’utilizzo del termine antropocene per indicare l’era geologica che stiamo vivendo.
Diverse ere geologiche sono terminate a causa di eventi naturali, come la caduta di un asteroide o una glaciazione; la potenza dell’uomo, in questa chiave definibile distruttrice, è paragonabile in tutto e per tutto ai suddetti eventi naturali, la cui ricostruzione è stata possibile grazie a tracce, testimonianze che sono arrivate a noi sotto forma, ad esempio, di fossili.
Allora viene naturale chiedersi: quali testimonianze lasceremo nell’ambiente, nelle rocce, che potranno essere utilizzate dai posteri per ricostruire la storia passata?
Ormai è noto a tutti che tracce di plastiche e metalli possono essere trovati in ogni angolo del nostro pianeta; questi sono stati soprannominati tecnofossili, perché frutto del processo tecnologico guidato dall’uomo.
La mano dell’uomo ha cambiato anche il clima, ma purtroppo questi eventi si svolgono su una scala di tempi che è molto più grande della lunghezza della nostra vita: ciò ci spinge, inconsciamente, a deresponsabilizzarci, a non curarci degli effetti a lungo termine delle nostre azioni, perché non riusciamo a cogliere la grandezza e l’importanza del macroevento. Si tratta di un problema di scala e di valori.
Ne consegue, allora, che la forza e l’intelletto umano, che se da un lato ci hanno portato fin qui, dall’altro hanno agito sull’equilibrio che regola in nostro pianeta, trasformandosi in vera e propria forza geologica.
Bisogna iniziare a chiedersi se qualcosa si può fare, e se si, cosa. Bisogna iniziare a chiedersi: chi è il colpevole? Chi è la vittima?
E se vittima e colpevole coincidessero?
Questo articolo è stato possibile grazie all’incontro svolto nell’ambito della manifestazione Festival della Fotografia Etica di Lodi, che ha visto la prof. Laura Boella relatrice di un incontro dal titolo “Impronte Umane”.
Autrice: Annarita N.